Improvvisamente attualizzato dalla sfilata di impiegati del dipartimento di stato che – testimoniando al Congresso- si sono ribellati ai maneggi trumpiani sul’Ucraina, prodotto da Steven Soderbergh, e acquistato da Amazon subito dopo la prima a Sundance 2019, The Report, di Scott Burns (in sala dal 18 al 20 ottobre e dal 29 novembre su Amazon), è un salto nel tempo, un film «alla» Sidney Pollack o Alan Pakula – colori bruni, labirintici corridoi di potere illuminati al neon, gole profonde, sullo sfondo di una Washington di austeri marmi bianchi e nixoniano intrigo politico.

IN REALTÀ si tratta di una storia più recente. Quella di Daniel Jones (Adam Driver), un impiegato federale, con il pallino investigativo a cui venne affidata, per conto della Commissione per l’Intelligence del Senato, la stesura di un rapporto sul famigerato programma di detenzione e interrogatorio della Cia, istituito dopo l’11 settembre. Cinque anni di lavoro, in una camera sotterranea «blindata», in cui i suoi collaboratori si assottigliavano poco a poco (i ricercatori repubblicani primi a disertare, quando il rapporto -che doveva essere bipartisan- diventò un’iniziativa democratica vista con fastidio anche dalla Casa bianca di Barack Obama): il compito di Jones aveva del donchisciottesco.

PRIVO di accesso agli impiegati della Cia, doveva basare tutta la sua ricerca su documenti e mail messigli a disposizione dall’Agenzia. All’inizio non volevano nemmeno dargli una stampante («quando entra in scena la carta da noi iniziano i problemi», gli dice il funzionario Cia; «da noi la usiamo per verificare che vengano rispettate le leggi» risponde Jones). Burns (sceneggiatore di The Informant!, Contagion e The Laundromat per Soderbergh e di The Bourne Ultimatum, ma anche produttore di Una scomoeda verità) ancora saldamente la crociata di Jones alla dimensione procedural. La chiave della sua inchiesta parte dai nomi dei prigionieri – Abu Zubaydah, Khald Shyack Mohammad…Le «interrogazioni enhanced» ideate per la Cia dallo psicologo Jim Mitchell, che non aveva mai interrogato nessuno in vita sua, a cui sono sottoposti i prigionieri , sono descritte nei documenti, e visualizzate nella loro disumana ferocia.

LO STILE è quello fluido, preciso di Soderbergh – scritte sullo schermo ci accompagnano davanti e indietro nella cronologia; insieme ai periodici incontri tra Jones e la senatrice Dianne Feinstein (Annette Bening, magnifica) che sceglierà di rendere pubblico il rapporto nel dicembre 2012, dopo la clamorosa sconfitta democratica del midterm, pochi giorni prima che il controllo del Congresso passi di mano. Tra i maggiori cheerleader del programma di torture vediamo Gina Haspel, l’attuale direttore della Cia, che non desiste nemmeno quando è chiaro che massacrare i prigionieri non aiuta né le relazioni internazionali, né le inchieste. Jones, e The Report, accumulano i fatti con una precisione implacabile – dal quadro, Bush esce meglio di Cheney, e l’allora direttore dell’Fbi Mueller meglio di quelli della Cia: Tenet, Panetta e Brennan. Duro il verdetto anche su Obama, che non voleva pubblicare il rapporto perché la Cia, con il raid su Bin Laden, lo aveva aiutato ad essere rieletto, e perché sperava implausibilmente in un secondo mandato di collaborazione bipartitica.