Priamo, dalle altissime mura della città di Troia, vede sopraggiungere il temibile Achille, rabbioso come un cane nella sua splendente armatura: «raggiante come una stella correva per la pianura;/ come si leva l’astro autunnale, chiari i suoi raggi/ appaiono fra innumerevoli stelle nel cuor della notte:/ esso è chiamato il Cane d’Orione,/ ed è il più lucente, ma dà presagio sinistro/ e molta febbre porta ai mortali infelici».
Nell’Iliade ogni immagine, ogni metafora è studiata e condivisa da chi l’ascolterà. Qui Achille è preso da lyssa, la rabbia dei guerrieri, e tra poco, furente, «come il fuoco», farà a pezzi il suo rivale Ettore, massacrandone il cadavere come un cane idrofobo. Quando, molti secoli dopo, si scoprì il virus che trasmette la rabbia, non fu un caso se lo si chiamò Lyssavirus.

Achille per Omero è la stella Sirio, della costellazione del Cane d’Orione (Cane Maggiore), il mitico cacciatore ucciso dalla dea Diana e da Giove trasformato in costellazione.

La stella Sirio segnava l’inizio del caldo soffocante, della canicola (da canicula, «piccolo cane»), quando sorgeva e tramontava con il Sole, secondo una tradizione medievale da san Cristoforo a san Bartolomeo, cioè dal 24 luglio al 26 agosto. Forse la sua «forma» canina risale agli Egizi, quando la sua «brillante» (Seirios) presenza nei cieli notturni avvertiva, come un vigile cane fedele, l’arrivo delle inondazioni del Nilo; oppure gli antichi abitanti del Mediterraneo conoscevano gli effetti che il periodo aveva sui cani: certo più agili e svegli durante la caccia, ma il loro affannoso ansimare poteva condurli ad un’eccessiva disidratazione e quindi alla malattia e alla rabbia. Plinio con solita precisione scrive: «la rabbia dei cani è dannosissima per l’uomo quando insorge durante il periodo (…) in cui brilla la stella Sirio: nelle persone che sono state così morse si sviluppa una letale idrofobia». In una mentalità intrisa di magiche connessioni il rimedio sarà la radice di una rosa, conosciuta oggi come rosa canina.

Quando il sole è a picco

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In questo totemismo celeste gli esseri umani attribuirono agli astri, lontani anni luce, le proiezioni del loro mondo conosciuto: orse, uccelli, cacciatori con i loro cani. Se il totemismo fu un modo per ordinare la realtà di portata universale, non meravigli che anche in Cina Sirio sia un canide, il «lupo celeste», mentre tra i Nativi americani può essere un cane da pastore, una stella con la «faccia-di-cane», un lupo o un «Cane di Luna», come per gli Inuit dello Stretto di Bering. Ma tornando a questa asfissiante canicola, il calore, non più canalizzato come in Achille in una furia mitico-rituale, anziché renderci capaci di correre dietro a vigorosi nemici ci lascia spossati e inermi. Per gli Occidentali la colpa è sempre di Sirio: «Già l’astro che segna l’estate dal giro celeste ritorna, tutto è arso di sete, e l’aria fumica per la calura. Acuta tra le foglie degli alberi la dolce cicala di sotto le ali fitto vibra il suo canto, quando il sole a picco sgretola la terra. Solo il cardo è in fiore: le femmine hanno avido il sesso, i maschi poco vigore, ora che Sirio il capo dissecca e le ginocchia». Così scriveva Alceo, poeta greco (VII-VI s.). Se il triangolo tra eccessiva calura estiva, sessualità femminile e rafforzamento di alcune specie animali potrebbe interessare gli studi sul tarantismo salentino e sull’argia sarda, qui vogliamo solo porre fine ad un uso improprio di un modo di dire, molto in voga sotto gli ombrelloni: «d’agosto, moglie mia non ti conosco», che non è un proverbio nato dal film «Quando la moglie è in vacanza», con Marylin Monroe e Tom Ewell (Billy Wilder, 1955).

Le streghe della grandine

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Infatti il modo di dire non allude al fatto che durante le vacanze della moglie (il marito, come nel film, è al lavoro in città) il coniuge possa tradire la moglie, bensì alla più vetusta credenza che con la canicola il vigore maschile diminuisce, come descrive il proverbio maccheronico «quando sol est in Leone, pone mulier in cantone, bibe vinum cum sifone». Il vino, è Esiodo a puntualizzare, deve essere quello di Biblo, in Libano.

Ma come abbiamo visto durante i primi giorni di luglio, il pericolo non è solo il caldo, ma anche un temporale improvviso o, peggio, la grandine. La tradizione contadina italiana conosce bene questi fenomeni e sa che ci sono pochi mezzi per risolverlo, tutti di carattere magico-religioso: affidarsi a santi come Amalberga (10 luglio), Anna (26) o Abdon e Sennen (30), martiri persiani, o ai riti. Un metodo certo, secondo la tradizione del nord Italia, sarebbe stato quello di trovare nei chicchi di grandine un capello che si credeva appartenuto a una strega: una volta trovato, la tempesta cessava. Perché le streghe potevano viaggiare su di una nave aerea da dove riuscivano a produrre e spostare tempeste a loro piacimento, inviando grandine sui campi dei loro nemici. Era il «téemp de li strìi», come di dice in provincia di Sondrio.

Anche le trombe d’aria che si vedono in questi giorni sarebbero in realtà animali travestiti che distendono la loro coda tra nuvole e terra. Per eliminarle, in Abruzzo e in Calabria residua la credenza che con un apposito coltello o con un crocefisso di ferro si possano tagliare in due, uccidendole.
Le connessioni tra Sirio e calore un tempo toccavano anche la cultura materiale, se gli alari dei camini riportavano spesso teste di cane, ma resta il fatto che si chiamino tuttora chenet, in francese e firedog in inglese.

Durante gli Hundstage («giorni del cane») questi quadrupedi sembrano onnipresenti. Il cristianesimo li ha assorbiti nella propria cultura addomesticandoli, depotenziandoli, facendone docili compagni di viaggio o essi stessi dei santi: il primo, in ordine cronologico, è san Cristoforo.

Traghettatore di umani

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Ricordato il 25 luglio, la sua storia viene narrata da Jacopo da Varagine in modo molto romanzato: era un gigante di altissima statura che, desideroso di servire il re più potente della terra, si mise al seguito di vari personaggi, compreso il diavolo. Ma un giorno, vedendo costui tremare davanti a una croce, cominciò a cercare Cristo, convertendosi al cristianesimo. Divenne un traghettatore di persone lungo un fiume piuttosto pericoloso ma, visto che era un gigante, gli veniva abbastanza facile. Un bel giorno, gli chiese di essere traghettato un bambino, che però durante il percorso divenne sempre più pesante, come un piombo, tanto che lo stesso Cristoforo credette di annegare. Giunti finalmente a riva, Cristoforo spiegò la sua paura e disse che gli sembrava di aver trasportato tutto il peso del mondo. A questo, il «bambino» spiegò: «Non stupirti, Cristoforo, perché sulle tue spalle non soltanto hai portato tutto il mondo, ma colui che ha creato il mondo».

Nella tradizione orientale Cristoforo è un gigante con la testa di cane, proveniente dalla terra cananea o da Cinopoli, la «città dei cani». Il suo martirio fu all’insegna del calore, essendogli stato, tra l’altro, calato sul capo un casco arroventato mentre sedeva su di una sedia, anch’essa rovente.
Un altro cane, con una torcia accesa in bocca, ritorna nell’iconografia di san Domenico di Guzman, festeggiato il 6 agosto. Fondatore dell’ordine dei predicatori, in un gioco di parole detti «Domini canes», i «cani del Signore», ovvero i Domenicani. La sua legenda racconta che la madre, ancora incinta di lui, avesse sognato di portare in grembo un piccolo cane con in bocca una torcia con la quale infiammava l’universo.

Certamente però il santo più famoso è Rocco (16 agosto), quello che nelle immagini è accompagnato da un simpatico cagnolino con in bocca un pezzo di pane, una rosetta o con la lingua di fuori: sarebbe stato il quadrupede a salvargli la vita portandogli quotidianamente da mangiare quando era ancora debole e solo, appena scampato da un’epidemia.

L’ombra del male

Dalla furia di Achille al cagnolino scodinzolante di san Rocco, vincitore su di un altro simbolico fuoco, quello della Peste Nera, la canicola nei millenni è stata oggetto di una reinterpretazione in chiave mitico-rituale che ha permesso agli uomini di gestirla, di sopportarla, di non averne paura. Perché a volte può essere davvero pericolosa, soprattutto quando il sole è allo zenith, a mezzogiorno, tempo in cui la natura sembra fermarsi e gli effetti fecondanti dell’astro solare cedono il passo a sensazioni opprimenti, al taedium vitae e ai demoni più terribili: dalle empuse al dio Pan e alle ninfe, che in agguato presso le sorgenti d’acqua accecano chiunque osi guardarli; dalle sirene, già nell’antichità messe in relazione con la stella Sirio, alle arpie o ai vampiri, sempre pronti a disseccare gli incauti che sfidano gli dei e i tabù dei demoni meridiani. Ma anche ai piccoli insetti che mordono e rimordono sotto i lividi cieli assolati del Mediterraneo: chi ha detto che il male debba necessariamente appostarsi nell’ombra? Il caldo abbagliante del mezzogiorno può essere ben più maligno, accecante e allucinatorio.

Come scriveva Leopardi, «chi crederebbe che quello del mezzogiorno fosse stato per gli antichi un tempo di terrore, se essi stessi non avessero avuto cura d’informarcene con precisione?»