«La sanità chiude un giorno per non chiudere per sempre». I medici italiani hanno scioperato ieri per il rinnovo del contratto e contro «la riduzione all’osso degli organici» e i continui «tagli di spesa», frutto delle politiche degli ultimi anni. Disagi che non pagano soltanto i lavoratori ma tutti i cittadini, costretti in molti casi a rivolgersi al privato o a rinunciare alle cure. Ovviamente sono stati garantiti i casi urgenti, ma secondo Anaao Assomed sono saltati «40 mila interventi chirurgici, centinaia di migliaia di visite specialistiche e prestazioni diagnostiche», oltre al «blocco di tutta l’attività veterinaria connessa al controllo degli alimenti».

Anaao lamenta che a fronte di pochi contratti di specializzazione – «insufficienti rispetto alle esigenze del sistema sanitario» – e con assunzioni per le diverse figure ospedaliere che non vanno a integrare strutturalmente gli organici, ma spesso tappano solo i buchi attraverso contratti di collaborazione, partite Iva o appalti, i carichi di lavoro si fanno sempre più pesanti.

Negli ospedali, protesta l’associazione dei medici, si registrano problemi divenuti ormai insostenibili: «Mancato rispetto di pause e riposi, milioni di ore di lavoro non retribuite e non recuperabili, ferie non godute, turni notturni a un’età alla quale tutte le categorie, pubbliche e private, sono esonerate, reperibilità oltre il dettato contrattuale su più siti contemporaneamente, aumento dei carichi festivi e notturni, progressioni di carriere rarefatte, livelli retributivi inchiodati al 2010 con perdite calcolate fino ai 50 mila euro per i giovani e i livelli apicali».

La Fp Cgil, con il segretario Andrea Filippi, addita anche le responsabilità del governo: «Scioperiamo – ha spiegato a Radio Articolo 1 – proprio in difesa del Servizio sanitario nazionale, alla luce del progressivo definanziamento del Fondo sanitario nazionale che c’è stato in questi ultimi anni. In questa legge di Bilancio, invece, il Fondo non viene toccato. Questo fatto potrebbe essere visto come una buona notizia, dopo tanti anni di tagli, ma in realtà i tagli vengono messi sul fronte delle spese delle regioni. Inoltre, il previsto aumento di un miliardo sul Fondo sanitario, in realtà, è stato ridotto a 400 milioni di euro. Le regioni dovranno quindi affrontare un aumento delle spese per il pay back farmaceutico».

Inoltre, attacca ancora la Cgil, nell’ultimo Def e nella sua variazione, si legge che da qui al 2020 si prevede una riduzione della percentuale di Pil destinata al Servizio sanitario nazionale, che scende sotto la soglia del 6,5%. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, sotto questo tetto si mette a rischio la salute pubblica di un paese.

«Crediamo che tutto questo – dice ancora il segretario di Fp Cgil medici – sia il frutto di una strategia programmata che ha come obiettivo la mortificazione della sanità pubblica. Non è un caso che si registri un aumento costante della spesa privata, che in Italia è organizzata solo in forme sostitutive. Ormai il 10% della spesa sanitaria esce direttamente dalle tasche dei cittadini. Questa operazione va di pari passo con la progressiva delegittimazione dei ruoli, sia economica sia professionale, degli operatori».

Dall’altro lato, in diversi contratti nazionali si rafforzano le coperture del welfare integrativo: un benefit, indubbiamente, per i lavoratori, ma bisogna evitare a tutti i costi che le politiche di incentivazione anche fiscale della sanità privata vadano a detrimento del servizio universale, diritto costituzionale e garanzia per i più poveri, per i disoccupati o per gli stessi working poors. Sono tra gli 11 e i 12 milioni gli italiani costretti a rinunciare alle cure perché troppo costose.