Cultura

I marmi del Partenone vestono Gucci

I marmi  del Partenone vestono Gucci

Le sculture classiche sono fashion? Per Gucci sembrerebbe proprio di sì. Una settimana fa, la maison italiana guidata da Alessandro Michele ha infatti pubblicato sul suo account Instagram — ultima […]

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 7 gennaio 2016

Le sculture classiche sono fashion? Per Gucci sembrerebbe proprio di sì. Una settimana fa, la maison italiana guidata da Alessandro Michele ha infatti pubblicato sul suo account Instagram — ultima frontiera pubblicitaria di aziende di successo — alcune immagini animate dei fregi del Partenone, i cui personaggi indossano vestiti e accessori del noto brand della moda. Le gif con sottofondo musicale, sono state realizzate da Derya Ayhan Cakirsoy, specialista in digital art e fashion design. Assieme a altri «creativi», Cakirsoy è stata scelta da Michele per il progetto #GucciGram, attraverso il quale talenti del web e illustratori di tutto il mondo, affermati o emergenti, vengono invitati ad ideare opere che raffigurino i motivi Gucci Blooms e Gucci Caleido.

Ma se i quadretti surreali pensati dall’artista tedesca trapiantata a Istanbul, raccolgono decine di migliaia di like, non mancano commenti indignati per la profanazione virtuale dei capolavori di Fidia. Malgrado la recente decisione del governo greco di rinunciare alla battaglia legale per loro restituzione, i fregi del Partenone — anche detti Marmi Elgin dal nome dell’«usurpatore» inglese — sono per i greci un nervo sempre scoperto. Dioniso agghindato come una donna nell’atto di scattarsi un selfie, Cecrope con pantaloni da hippy, occhiali da sole e sneakers zebrate appese al collo provocano anche la dura reazione del Club Unesco del Pireo e delle Isole, che non esita a definire l’operazione di Gucci un «atto vandalico».
In realtà, Cakirsoy — che si è ispirata alle ricostruzioni dei frontoni del Partenone di Schwerzek esposte al Museo dell’Acropoli di Atene — non è la prima a utilizzare statue antiche come modelli glamour. Due anni fa il fotografo Léo Caillard, noto per le sue campagne in favore di Amnesty International, ha realizzato un progetto intitolato «Hipster in Stone», vestendo divinità greche e altre icone della sala Richelieu del Louvre con jeans e altri capi d’abbigliamento tipici dello stile dei nuovi bohémiens. In quel caso si era trattato di un lungo lavoro di casting con modelli veri, e di un’accurata post-produzione che aveva permesso la sovrapposizione di immagini. Nel 2014 aveva invece suscitato scandalo il blitz di Gerald Bruneau, allievo di Andy Warhol, al museo archeologico di Reggio Calabria. Dal suo set fotografico apparentemente non autorizzato, erano uscite fuori immagini svilenti dei due Bronzi di Riace addobbati con velo da sposa e tanga leopardati.

Insomma, l’arte antica è più contemporanea di quanto non si voglia credere, ma il messaggio che si vorrebbe trasmettere qual è? Non sarà che con la cultura non si mangia, ma quando c’è da fare business hanno tutti la forchetta — possibilmente design — pronta ad affondare nel piatto? Gucci non deve pagare i diritti d’autore a Fidia, ma se proprio vuol sfruttare l’appeal di stars del V secolo a.C. potrebbe almeno trasformarsi in mecenate e cedere una parte del ricavato della nuova campagna alla Grecia, finanziando restauri o perché no, borse di studio e progetti di ricerca a giovani archeologi trendy.

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