La correzione dei dati nei giorni successivi al sisma non è un’assoluta anomalia. Dopo le stime iniziali, tempestive per rispondere a eventuali emergenze, è fisiologico che i ricercatori svolgano analisi più accurate e aggiustino il tiro.

È una fase che in genere interessa solo la comunità accademica. Stavolta, invece, gli “errori” dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) sono finiti sulle prime pagine come un fatto di cronaca nera. E l’ente è tornato sul banco degli imputati, impallinato non solo dai media ma anche da membri della comunità scientifica come Franco Ortolani e Giuseppe Luongo, che avevano da subito segnalato gli errori. Proviamo a spiegare perché, per l’ennesima volta, le incertezze di chi studia i terremoti diventano tema di dibattito pubblico.

Innanzitutto, nel caso di Ischia spostare l’ipocentro del terremoto di qualche chilometro non è solo una questione tecnica. Secondo Ortolani, per trent’anni ordinario di geologia alla Federico II di Napoli, un terremoto superficiale può provocare crolli e vittime anche se l’energia liberata è modesta: infatti le onde “P” e “S”, che in un terremoto profondo colpiscono in momenti diversi, a Casamicciola potrebbero essere arrivate tutte insieme. «La legge attuale non prevede che i manufatti siano progettati per resistere a simultanee sollecitazioni di P e S», spiega Ortolani, e questa valutazione avrà il suo peso nelle inchieste sui crolli. Sia chiaro: né Ortolani né gli altri contestatori dell’Ingv intendono assolvere l’abusivismo edilizio, ben noto ancor prima del sisma. Ma quelle parole possono involontariamente trasformarsi in un alibi: i palazzi saranno anche stati abusivi ma i crolli e le morti erano inevitabili, penserà qualcuno.

Inutile, dunque, dare ascolto agli “esperti” che da Roma impartiscono lezioni su prevenzione e sicurezza e sbagliano persino i calcoli.

In secondo luogo, pur se giunte da stimati ricercatori dell’ambiente universitario napoletano o dell’Osservatorio Vesuviano, le critiche all’Ingv sono uscite subito dal fair play del dibattito accademico. Per capirne i motivi, occorre conoscere il clima in cui lavorano sismologi e vulcanologi addetti al monitoraggio del territorio italiano, tra i più pericolosi al mondo. I rapporti tra l’Osservatorio Vesuviano e la “casa madre” Ingv sono difficili sin dal 1999, quando i due enti furono accorpati e l’Osservatorio perse la sua autonomia. Solo un anno fa, per citare l’ultimo episodio, l’Ingv ha esonerato il direttore dell’Osservatorio Giuseppe De Natale, che poi riottenne l’incarico grazie al Tar per l’illegittimità del provvedimento. Proprio De Natale, tuttora dirigente di ricerca all’Osservatorio, è tra i principali critici dei vertici dell’Ingv.

Si aggiungano altri dissidi locali che riguardano la realizzazione di un impianto geotermico a Ischia, che di nuovo divide gli esperti. C’è chi (De Natale) garantisce la sicurezza dell’impianto futuro, e chi (Ortolani) da anni mette in guardia sulla sismicità indotta da una centrale geotermica e sul conflitto di interessi che riguarderebbe l’Osservatorio Vesuviano, coinvolto sia nella realizzazione che negli studi di fattibilità della struttura.

Infine, non certo per importanza, occorre tener conto delle crescenti difficoltà nel lavoro quotidiano all’Ingv. A fronte di incarichi sempre maggiori – come il nuovo servizio di allerta tsunami per tutto il Mediterraneo – da anni l’ente dispone di sempre meno risorse. Ne fanno le spese soprattutto i ricercatori precari, che non si vedono riconosciuti i diritti all’assunzione che risalgono al lontano 2007 – le “stabilizzazioni” dell’ultimo governo Prodi. La delegittimazione, i tagli e il declino scientifico (dieci anni fa l’Ingv era il migliore ente geofisico a livello mondiale) sono un circolo vizioso che polemiche come queste, dall’Aquila a Ischia, alimentano generosamente.

Non per questo, i vertici Ingv sono al di sopra di ogni critica. Anche i ricercatori disinteressati dalle polemiche di bottega, a microfoni spenti ammettono che le apparizioni del presidente Doglioni e di altri esperti all’indomani del sisma meritavano più cautela nell’attribuzione delle responsabilità. Si tratta di errori di comunicazione. Ma quando si parla di comunicazione del rischio, la forma è sostanza. La lezione del terremoto dell’Aquila, pur con l’assoluzione finale dei sismologi, avrebbe dovuto insegnare quanto sia difficile mettere d’accordo le esigenze contrastanti di un’opinione pubblica da informare senza terrorismo, di media sensazionalisti e di un’amministrazione locale malata di populismo e di clientele. In questo contesto, fare una corretta opera di divulgazione scientifica richiede abilità indispensabili, ma che non si improvvisano. Abbandonare la “torre d’avorio” è sempre più urgente perché anch’essa rischia di crollare.