Nel dicembre del 2006 usciva nelle sale dell’arcipelago giapponese il lungometraggio animato Tekkonkinkreet, realizzato dallo Studio 4°C e diretto dall’americano trapiantato in Giappone Micheal Arias. Il film è caratterizzato da un tratto e da un tono che aveva ben poco a che fare con l’estetica animata che andava, ed ancora va a dir la verità, per la maggiore, si trattava insomma di un esperimento, riuscitissimo, per portare sul grande schermo un universo artistico quasi unico nel suo genere.

Il film, che partecipò anche ad alcune manifestazioni festivaliere internazionali, per molti fu il punto d’entrata per scoprire i mondi immaginati e disegnati da Taiyo Matsumoto, autore del manga omonimo alla base della pellicola animata. Dopo aver messo nel cassetto varie aspirazioni, fra cui quella di diventare calciatore, Matsumoto decide di dedicarsi all’arte del fumetto, soprattutto quello seinen, rivolto ad un pubblico più adulto cioè, e dopo il debutto nel 1987 arriva al successo di critica e di pubblico con la serializzazione proprio di Tekkonkinkreet fra il 1993 ed 1994. Shiro (Bianco) e Kuro (Nero) sono due fratelli orfani che vivono nell’intrico del quartiere immaginario di Takaracho come due gatti randagi, attaccatissimi l’uno all’altro ma in perenne odio verso tutte le altre persone che si muovono nella singolare metropoli. Se Kuro è la parte più forte, l’adulto, il «fratello maggiore» della coppia, Shiro è il bambino, lo stupore infantile ed il lato innocente e poetico della vita. Grandi cambiamenti però sono in arrivo, la polizia è in allerta per il ritorno di un vecchio yakuza chiamato il Ratto, un malavitoso vecchio stile, carico di romanticismo nichilista. Anche lui come Shiro e Kuro infatti è un figlio di Takaracho e per questo si opporrà sino alla fine a ciò che rappresenta il vero pericolo per la città, il Nuovo che avanza, il sistema mafioso-capitalistico-imprenditoriale.

Alla poetica cruda, surreale, brutale e selvatica dei disegni è sottesa una vena malinconica ed esistenziale che è uno dei tratti principali dei lavori di Matsumoto e che rende i suoi fumetti unici nel loro genere. Tekkonkinkreet è stato pubblicato in Italia pochi mesi fa in un unico volume dalla J-Pop (traduzione di Rebecca Suter) e per l’occasione Matsumoto è stata dedicata anche una mostra lo scorso autunno al Lucca Comics & Games. Da oggi, venerdì 16 febbraio, la mostra curata da Jacopo Costa Buranelli sarà allestita a Milano al WOW Spazio Fumetto e rimarrà visitabile fino al prossimo 31 marzo.

Intitolata Love is all you need, amore che nella sua forma più pura e vitale fra due individui è alla base di tutta l’opera del giapponese, l’esposizione è costituita da cinquanta tavole originali tratte da Tekkonkinkreet e dall’altro capolavoro di Matsumoto, Sunny, un fumetto quasi dai toni autobiografici per l’artista, dove racconta le solitudini, i sogni ed i voli di fantasia di alcuni bambini in un orfanotrofio. Ancora una volta sono i bambini ed il loro sguardo sul mondo, crudo, affabulato ma anche ruvido, a costituire il tratto più caratteristico della poetica che il fumettista giapponese riesce ad infondere nelle sue storie e nei suoi personaggi. All’incrocio fra un tratto minimale ma anche surreale e onirico da una parte e tematiche come la malinconia e la pochezza delle vite adulte rispetto ai sogni e le speranze dell’infanzia, si sviluppa in questo modo una delle poetiche più originali, non solo relative ai manga, uscite dall’arcipelago negli ultimi decenni.

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