«L’atteggiamento della magistratura verso le riforme è tutt’altro che di chiusura e intralcio. Sono i magistrati a chiedere che il sistema venga efficacemente riformato e sostenuto da risorse umane e materiali». Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia saluta e ringrazia il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, «guida sicura e lungimirante» che giovedì ha dedicato la parte più lunga del suo discorso ai disastri della giustizia. Ma aprendo un difficile comitato direttivo centrale, il parlamentino delle toghe, ci tiene a smentire una lettura del discorso del capo dello Stato come semplice strigliata ai magistrati. «Nessuno dentro l’Anm ha brigato e briga per il mantenimento dello status quo», dice Santalucia, e sposta la responsabilità dello stallo sulla riforma più attesa, quella del Csm, sulla maggioranza e sul governo. «Cosa possiamo fare più che chiedere, sollecitare, insistere?». Al punto in cui siamo, azzarda il presidente dell’Anm , potremmo già essere «fuori tempo massimo» ed «è forte e fondata la preoccupazione che la riforma non potrà essere varata in tempo utile a consentire che la prossima composizione dell’organo di autogoverno sia formata da un meccanismo elettorale diverso dall’attuale».

Per smentirlo, il parlamento dovrebbe approvare in soli due mesi, camera e senato, la legge delega sull’ordinamento giudiziario (che contiene norme di immediata applicazione sul Csm), il che vuol dire senza poterla discutere e a colpi di fiducia. Oppure si dovrebbero far slittare le elezioni per il prossimo Consiglio (previste a luglio, ma il nuovo quadriennio parte a settembre).

Intanto però all’allarme di Santalucia, rispondono le certezze del presidente della commissione giustizia della camera, quella dove la riforma è impantanata. «I tempi ci sono», assicura Perantoni (M5S), «per quanto ci riguarda inizieremo a votare gli emendamenti il 16 febbraio». Sempre che, si intende, nei prossimi dieci giorni il governo avrà finalmente dato il via libera agli emendamenti che costituiscono l’essenza della riforma, quelli che la ministra della giustizia ha portato a palazzo Chigi da settimane. Anche in quel caso, però, non è detto che il provvedimento abbia la strada spianata, visto che le differenze nella maggioranza sono tante. L’annunciato stop alla cosiddette “porte girevoli” – e cioè alla possibilità che i magistrati tornino nei ruoli al termine di un mandato politico – incontrerebbe se fosse totale e definitivo la contrarietà di un pezzo importante della maggioranza, a cominciare dal Pd. Altro esempio, la capogruppo di Forza Italia al senato Anna Maria Bernini ieri nello spingere sull’urgenza della riforma ha rilanciato «il sorteggio temperato, la soluzione migliore contro la degenerazione correntizia».

Anche questo è un tema rovente. Non solo nella maggioranza, ma anche tra le toghe che la settimana scorsa hanno tenuto un referendum consultivo voluto dalle due componenti minoritarie: i “davighiani” di Autonomia e indipendenza e la “corrente non corrente” di Articolo 101. Hanno prevalso i no al sorteggio e alla legge elettorale maggioritaria, ma soprattutto ha trionfato il disinteresse. Ha votato appena il 46% degli iscritti all’Anm (di questi il 58% ha detto no a sorteggio) ma il paradosso è che proprio i promotori del referendum che avrebbe dovuto segnare la rivoluzione adesso scaricano sul vertice dell’Anm, che lo ha subito, il fallimento. Il referendum sarebbe la prova della disaffezione verso l’Associazione e (visto che i sì non sono stati pochissimi) dimostrerebbe che il sorteggio è ritenuto un’opzione legittima. Tanto che per forzare la mano l’associazione Altra proposta (alla quale partecipano i magistrati di Articolo 101) ha organizzato per martedì prossimo nella sede dell’Anm in Cassazione un sorteggio preliminare, con il quale selezionare i candidati da presentare alle primarie per il Csm. Con la conseguente diffida da parte delle toghe contrarie al sorteggio che non vogliono essere incluse negli elenchi.