Da un decennio buono è l’incubo di qualunque parlamentare. Qualsiasi legge, provvedimento o norma che comporti una spesa deve passare sotto le sue forche caudine, fatalmente fermarsi o, raramente, abbassarsi completamente per riuscire a passare. La Ragioneria generale dello Stato è ormai diventata un’entità astratta, quasi mistica. Impersonale. Ogni tentativo viene arginato dai guardiani di via XX settembre. Formalmente infatti è un organo del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Ma ha status di Dipartimento. E ciò le consente di non dover rendere conto a nessuno: «la signora del “No” preventivo».

Il caso più emblematico è quello della riforma delle pensioni Fornero del 5 dicembre 2011 sotto forma del decreto SalvaItalia. Decisa sotto il diktat della Bce, è la legge che ha comportato il risparmio maggiore – oltre 80 miliardi da qui al 2020 – per i bistrattati conti dello Stato. I vergognosi errori che si è portata dietro però non sono emendamibili. Nonostante i voti all’unanimità della commissione Lavoro della camera, gli impegni del ministro Poletti.

Ma anche le entità astratte non avevano fatto i conti con la testardaggine dei macchinisti. Loro, fra i più colpiti dalla Fornero – che «dalla sera alla mattina» ha innalzato la loro età pensionabile di 9 anni: dai 58 ai 67 anni, «unico caso al mondo» – hanno iniziato una lunga, indefessa battaglia per ottenere giustizia. E sono riusciti in una vera impresa: incontrare due dirigenti della Ragioneria generale in carne ossa.

L’incontro – preparato con pazienza dal sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta – doveva rimanere segreto. Fedele alla disposizione che «la Ragioneria non ha rapporti con le parti sociali». Ma ora che le possibilità di modifica sono saltate «perché secondo noi la Ragioneria si è messa d’accordo sui numeri con l’Inps per bocciare la nostra proposta», i macchinisti hanno deciso di raccontarla.

«La nostra battaglia va avanti da anni. Un anno fa abbiamo ottenuto un primo risultato – racconta Marco Crociati, macchinista romano – . Il primo aprile l’allora direttore generale dell’Inps Mauro Nori conferma i nostri calcoli: per tornare ai 57 anni servono circa 3 milioni l’anno, 10 milioni in 3 anni». Forti di questo documento i macchinisti hanno iniziato il loro pressing sul governo. Telefonate alle segreterie, scambi di mail chilometriche, anticamere interminabili. Poi finalmente il sottosegretario Baretta fa il grande passo. Riesce a convincere due dirigenti della Ragioneria ad incontrare «quei rompicoglioni dei macchinisti».

Alle ore 18 del 19 febbraio ecco che in un ufficio di via XX settembre la delegazione di «Ancora in marcia», storica rivista fondata da Ezio Gallori, vede palesarsi due persone. «Non si sono presentati, erano molto taciturni, silenziosi. Dei due ha parlato sempre solo il più giovane. Si sono limitati a farci vedere un documento del 2013 che dimostrava costi molto superiori a quelli da noi proposti. Non ce l’hanno lasciato, ma ormai siamo esperti e abbiamo subito capito che la ragione dell’aumento dei costi era dovuta al fatto che la platea dei richiedenti era allargata: non solo, come noi chiediamo, il personale di bordo, macchina e manovra (circa 18mila lavoratori), ma anche il personale delle biglietterie, capistazione e di ufficio (quasi 80mila persone). Alle nostre osservazioni e dopo aver convinto il sottosegretario Baretta, i due dirigenti erano in evidente difficoltà – continua Marco – . Non sapevano cosa rispondere e dopo poco hanno lasciato la riunione con la scusa che ne avevano un’altra in programma».

Una fuga, dunque, che somiglia ad una resa. «A quel punto il sottosegretario Baretta ci chiede di preparare una richiesta di modifica della legge con la determinazione precisa delle platee e delle scadenze. Noi la prepariamo nel giro di pochi giorni». La promessa è quella di «chiedere all’Inps una nuova e definitiva stima per rendere possibile la modifica».

Ma nel giro di pochi giorni arriva anche la doccia fredda. Il 7 aprile l’Inps protocolla una nuova risposta firmata dal nuovo direttore generale Massimo Cioffi. La nuova stima, seppur consideri una platea simile a quella delimitata dai macchinisti di “Ancora in marcia”, dal punto di vista dei costi è molto simile a quella della Ragioneria: oltre 10 milioni per il solo 2015 e 680 milioni da qui al 2024. «Un dato assolutamente fuori dalla realtà che ci conferma come la Ragioneria si è messa d’accordo con l’Inps per rendere impossibile la modifica della norma», accusa Marco.

La lotta dei macchinisti comunque va avanti. Ma lo storico incontro con la Ragioneria ha prodotto in Marco una certezza. «Il governo usa il passaggio della Ragioneria e della sua cosiddetta bollinatura di qualsiasi provvedimento per mettersi la coscienza a posto. Come dire: «Noi volevamo modificare, noi volevamo fare i buoni, ma la ragioneria non ce lo fa fare». La usa come una scusa».

Se per gli esodati sono servite sei leggi ad hoc – salvaguardie – per salvarne (sulla carta) 160mila con un costo di 11 miliardi, per quota 96 (la norma che ha incastrato al lavoro migliaia di insegnanti) e per i macchinisti ancora nessuna soluzione. E sì che «l’errore» è stato riconosciuto da tutti: il comma 18 dell’articolo 24 della legge Fornero (utilizzando la parola «articolo» al posto di «comma») ha previsto espressamente che la riforma si applichi ai macchinisti, non inserendo la categoria assieme a polizia e forze dell’ordine che invece sono stati esclusi dall’innalzamento dell’età pensionabile.

In un momento in cui perfino la nuova gestione Inps di Tito Boeri considera la categoria dei privilegiati («Ha messo on line i conti in rosso del nostro fondo, dimenticandosi però di dire che la ragione del passivo è dovuta al fatto che dal 2000 i nuovi assunti hanno contratti, peggiorativi, che non prevedono il versamento al fondo»,sottolinea Marco), la posizione di “Ancora in marcia” è infatti molto pragmatica: «Noi – continua Marco – non chiediamo un ritorno alle norme precedenti. Chiediamo di armonizzare la nostra età pensionabile ma tenendo comunque conto che nel solo comparto di Roma negli ultimi 3-4 anni si sono registrati 16 infarti a macchinisti con una età media di 52 anni». Numeri che dovrebbero portare chiunque a considerare come un macchinista non possa lavorare fino a 67 anni. Sempre che la Ragioneria contempli la possibilità.