Si calcola che ormai da qualche anno, per la prima volta nella storia dell’umanità, la maggior parte degli abitanti del pianeta vive in contesti urbani. È un processo ambivalente, rimanda allo spopolamento delle campagne e all’affollarsi di una moltitudine povera nelle periferie delle città di tutto il pianeta. Ma evidenzia anche il fatto che il livello di esistenza in comune e di cooperazione che caratterizza i contesti urbani diventa tendenzialmente maggioritario.

LA DIMENSIONE EPOCALE di questo fenomeno serve a comprendere che mai come in questa fase storica governare e disciplinare le città è diventato un modo di organizzare la produzione e spremere valore dai territori. Questo è il contesto in cui si dipanano i punti di vista degli autori di Cosa succede in città (Prospero editore, pp. 200, euro 15,00), interrogati da Andrea Cegna. «Possiamo tranquillamente supporre che la città sia il centro della crescita del capitalismo», dice a questo proposito Khaliq Parkar parlando del caso di Mumbai e facendo interagire la megalopoli indiana con i processi in corso nel resto del pianeta.

LE DIVERSE VOCI del libro prendono a pretesto l’esempio del C40 o Cities Climate Leadership Group, un gruppo di 96 città in tutto il mondo che rappresenta un dodicesimo della popolazione mondiale e un quarto dell’economia globale. «Per me è esperimento di creazione di una rete di metropoli che, nel nome del capitalismo green e della chimera di una presunta sostenibilità del sistema di sviluppo odierno, cerca di fiaccare ancora di più ruolo e funzione dello Stato per aggiungere caos normativo alla burocrazia e rendere indefiniti i processi decisionali istituzionali, così da velocizzare le pratiche di speculazione-revisione-definizione del tessuto urbano», spiega Cegna. Non è un caso che questo processo sia cominciato con il fallimento della città di New York, alla metà degli anni Settanta, e la sua ristrutturazione. «La sterzata neoliberale degli anni 70 ha riconfigurato le città per renderle spazi di accumulazione del capitale – afferma José Mansilla – Dall’essere i luoghi per eccellenza della riproduzione sociale, sono passate a svolgere un ruolo fondamentale nelle dinamiche di espropriazione».

FENOMENI come l’immaginazione di nuovi stili di vita, la revisione dell’enfasi economica, la ricerca del bene comune sono il sintomo delle resistenze che scorrono nelle arterie delle metropoli. Si tratta, come evidenzia Cegna, di fenomeni intersezionali, nei quali convergono «antipatriarcato, anticolonialismo e nuove pratiche ecologiche». In questo senso, uno dei temi decisivi riguarda la trasformazione del ruolo dello Stato-nazione. Che non sparisce, di fronte all’emergere di reti tra città globali, ma inevitabilmente si inserisce nelle filiere transnazionali e finisce per essere mero strumento di controllo e repressione delle strategie planetarie. Difficile pensare che possa risorgere come entità regolatrice, tanto più illudersi che possa farlo «da sinistra».
Il libro verrà presentato domani, giovedì 25, a Roma, al centro sociale Scup in via della Stazione Tuscolana. In una zona della capitale, tra centro e periferia, dove sta per avvenire l’ennesima ristrutturazione speculativa. Anche qui, con la scusa del green.