Sovrastimare le proprie scoperte petrolifere è prassi non rara presso le compagnie che estraggono idrocarburi. Ne giova il prestigio, la quotazione in Borsa, il valore sul mercato. Ma in alcuni casi può essere conveniente sottostimare: nel caso dell’Eni forse è il prezzo da pagare per uscire indenne da una storia strabiliante che racconta bene come funzionino il sistema di potere di al Sisi e le relazioni tra Stati in Medio Oriente. Inizia nel febbraio scorso, quando il governo egiziano annuncia un importante accordo per il quale lo Stato comprerà il gas estratto da un giacimento off-shore israeliano.

L’opinione pubblica è perplessa: importare da Israele? Ma come, non abbiamo forse un giacimento di gas gigantesco, Zohr, quello scoperto dall’Eni quattro anni fa? E non ci era stato detto che con Zohr eravamo quasi autosufficienti? Il mugugno cresce, al-Sisi è costretto a difendersi dai sospetti. Per l’Egitto l’accordo equivale a «un goal», dice, e comunque lo Stato non è coinvolto: si tratta di un affare concluso da privati, «Avete mai visto società private concludere affari che non siano per esse vantaggiosi?» Seguono applausi di una platea esilarata.

MA MOTIVI PER DUBITARE vengono riproposti a fine giugno dai media egiziani. Annunciano: l’Eni ha individuato nel Delta del Nilo una nuova area, Nour, che promette quantità di gas pari a tre volte l’immenso Zohr. L’egiziano Osama Kamal, ex ministro del Petrolio, garantisce perfidamente che lo stesso al Sisi a giorni annuncerà la scoperta. Ma al Sisi tace. E l’Eni smentisce, o quasi: «È prematuro» fare previsioni sulla quantità di gas che Nour contiene, occorre attendere l’esito delle trivellazioni esplorative. Precipitate, risalgono le azioni delle due società intrecciate nell’affare, l’americana Noble e l’israeliana Delek, a conferma della stretta relazione tra Nour e la fornitura di gas da Israele. Due mesi dopo l’Eni acquista per 109 milioni di dollari i diritti sul giacimento sempre meno ‘presunto’ e due giorni fa imbarca nell’investimento gli Emirati.

IN OTTOBRE QUALCUNO, si tratti della tecnocrazia egiziana o di ambienti militari, mette il sito Mada Masr nelle condizioni di smentire al Sisi con due notizie clamorose. La prima: uno studio condotto da una delle tre principali banche d’affari egiziane, Capital CL, spiega perché l’accordo non è nell’interesse dell’Egitto: lo Stato pagherà il gas israeliano 7.5/8 dollari per unità di misura, quando estrarlo nel Paese costa 1.73/3.50 dollari. E non potrà rivenderlo in Europa, perché il prezzo medio nel continente è 5.80. Ma allora perché al Sisi tiene tanto a quell’affare ‘tra privati’ che pare un bidone tirato all’acquirente finale, l’Egitto?

Perché il «privato» che ingurgiterà il boccone più grosso, East gas, domiciliato all’estero e dunque non tenuto a pubblicare i suoi bilanci in Egitto, altro non è che la copertura del General Intelligence Directorate, delle tre polizie segrete del regime l’unica che risponda direttamente ad al Sisi.

MEGLIO NOTO come Mukhabarat, grazie all’accordo potrà investire i suoi profitti nelle attività che assorbono gli apparati egiziani, da ultimo campagne di pubbliche relazioni negli Usa per tentare di nobilitare l’immagine di al-Sisi.

Ma il grosso probabilmente finanzierà la creazione di un tv internazionale per contrastare al Jazeera. Allo scopo il Mukhabarat in dicembre ha acquistato il maggior gruppo editoriale egiziano e due mesi fa stava negoziando l’ingresso nell’impresa del servizio segreto saudita, al comando del principe ereditario Mohammed bin Salman, uno che odia al Jazeera almeno quanto al Sisi. Se adesso l’Eni annunciasse che i nuovi giacimenti hanno effettivamente dimensioni clamorose, di fatto liquiderebbe l’importazione di gas israeliano come priva di razionalità economica. Se ne risentirebbero il Mukhabarat, i cui metodi sono efferati; il Mossad, che certamente supervisiona la fornitura di gas, per Israele di grande rilevanza geo-strategica; e lo stesso al Sisi, uno che Trump, ufficialmente suo sostenitore benevolo, definisce in privato «quel fottuto assassino» (lo racconta Bob Woodward nella recente biografia del presidente americano).

MALGRADO QUESTA SUA NOMEA il «fottuto assassino» finora non ha avuto difficoltà a ottenere un mega-prestito dal Fondo monetario, concesso con l’unica condizione che liberalizzi l’economia (e infatti in agosto al Sisi ha liberalizzato guarda caso proprio il prezzo del gas per uso privato, il cui prezzo da allora è raddoppiato). Gli europei lo trattano con un riguardo che non è venuto meno neppure dopo l’omicidio di Giulio Regeni, finito nelle mani del suo Mukhabarat.

Per allontanare dal «fottuto assassino» ogni responsabilità gli ultimi tre governi italiani hanno promosso una narrativa che implicitamente gli permette di dichiararsi parte lesa, e di raccontare che gli uccisori del ricercatore italiano volevano danneggiare i suoi buoni rapporti con l’Italia, insomma con l’Eni. Di conseguenza i nostri «Giggini» in visita d’ossequio al Cairo da tre anni chiedono proprio a lui un aiuto per individuare colpevoli che altri non sono che suoi diretti sottoposti. Si dirà che questa farsa è obbligata dalla posta in gioco, la prospettiva per l’Italia di diventare l’hub del gas israeliano, egiziano e libico diretto in Europa. Ma quantomeno dovremmo modificare il copione, renderlo un po’ più credibile, o meno indecente.