“Non sono venuto qui a ricordare tutta la storia della Bekaert, voglio solo dire che questo è l’esempio di come non si deve fare. Scandali come questo non devono più accadere”. La voce di Simone Fiorucci quasi si perde nel grande piazzale di quello che era lo stabilimento più grande dell’alto Valdarno. Un sito industriale che, lasciato a se stesso, si sta decomponendo come fosse materia organica. Perché per i suoi oltre 300 operai, e per l’intero territorio, la fabbrica era cosa viva. Mentre ora, con le aree esterne e il parcheggio assediati dalle erbacce, e il grande corpo dello stabilimento in stato di abbandono, restano solo la malinconia e la rabbia a restituire un guizzo di vitalità all’area di via Petrarca. Un potenziale ecomostro, a due passi dal centro storico di Figline Valdarno.
Non fa sconti l’operaio Fiorucci, che con i compagni di lavoro licenziati ha organizzato questo presidio, con l’appoggio della sinistra valdarnese di alternativa (Rifondazione, Pci, Pap): “Ogni volta che succede qualcosa di brutto, qualcuno consiglia di non fare troppo casino, di non fare picchetti e non manifestare, ché tanto arriva la cassa integrazione. Ebbene, noi siano stati tre anni in cig, e alla fine ci hanno mandati a casa tutti quanti. Allora la verità è che si utilizza la cassa integrazione per chiudere le fabbriche. E ora, vedendo questo posto con gli striscioni delle altre aziende in crisi ancora affissi ai cancelli, mi viene da pensare che questa è una ‘lista della sfiga’”.
Le condizioni degradate del sito industriale in un’area di proprietà della multinazionale belga, motivo per cui dovrebbe essere Bekaert a mettere in sicurezza la zona, hanno portato la sindaca di Figline-Incisa, Giulia Mugnai, a inviare alla fine dell’estate alcune lettere all’azienda, chiedendo interventi veloci perlomeno per quanto riguarda l’esterno. “Nemmeno l’amministrazione comunale sa cosa sta accadendo all’interno dello stabilimento – ricorda Fiorucci – è tutto off-limits. E anche questa è una cosa grossa da digerire”.
Soprattutto è dura da digerire che ad oggi una parte non piccola dei 318 lavoratori licenziati non abbia ottenuto alcuna soluzione occupazionale alternativa, ma solo la Naspi come minimo ammortizzatore sociale. “In questi anni un centinaio di noi sono riusciti ad arrivare alla pensione – riepiloga Fiorucci – poi una sessantina sono stati presi dalla Laika, passando comunque dal quarto al secondo livello, e infine pochi altri hanno trovato lavoro stabile in aziende del comprensorio. Ma a tutti gli altri l’advisor di Bekaert non ha trovato di meglio che contratti a termine e lavoro interinale. Cose del tipo portare il pane ai negozi due, tre volte la settimana”.
“La multinazionale belga – denunciano i circoli locali di Rifondazione, Pci e Pap – nemmeno si interfaccia con sindacati e istituzioni. Eppure ha goduto in passato di importanti sostegni pubblici, come del resto anche la Pirelli da cui la fabbrica fu acquisita. E vanno ricordate anche le decine di lavoratrici e lavoratori dell’indotto, che sono i primi a pagare il prezzo delle crisi industriali, rimasti senza alcuna tutela o attenzione delle istituzioni”.
Dopo la sentenza sfavorevole del Tribunale di Firenze, che il 6 novembre scorso ha respinto il ricorso pilota di un lavoratore licenziato, agli operai resta solo un pugno di mosche: “Abbiamo perso anche la vertenza – tira le somme Fiorucci – Bekaert se l’è cavata con 17mila euro lordi per gli operai con più anzianità in fabbrica, ma qualcuno ha preso solo 3mila euro. E ora fa pagare all’intero territorio questa desolazione”. Accentuata dall’affossamento del piano operaio di rilevare la fabbrica tramite una cooperativa autorganizzata Un progetto concreto, che un gruppo di lavoratori supportati dalla Fiom Cgil e da Legacoop aveva presentato per riprendere la produzione. Ma che è stato ostacolato dalla azienda; non preso in considerazione dalla Fim Cisl, che aveva il maggior numero di tesserati in Bekaert; infine affossato di fatto dal governo e dagli stessi enti locali. In primis la Regione Toscana, che alla fine non ha trovato di meglio che “validare” i licenziamenti, che la sola Fiom Cgil non ha voluto sottoscrivere.