Un anno fa in questi giorni il licenziamento di 1.666 dipendenti Almaviva della sede di Roma, dopo una settimana di passione – tra Natale e Capodanno – in trattativa al ministero dello Sviluppo. I lavoratori però non si sono arresi e circa mille hanno avviato una causa per il reintegro. In 153 hanno ottenuto di nuovo il loro posto, con una sentenza del novembre scorso, e altri 530 attendono un verdetto a metà di questo mese. L’azienda però dichiara «chiusa» la sede della Capitale a Casal Boccone, e quindi sta reintegrando chi ha vinto – come è stato per i 153 – in altre sedi: Catania o Rende.

Venerdì un presidio di alcuni ex dipendenti licenziati – in particolare lavoratrici e mamme – affiancati dagli operatori del call center del Gse (il Gestore elettrico nazionale) che in forza di una gara vinta da Almaviva sono passati da qualche mese alle dipendenze del colosso delle tlc. Al momento del cambio di appalto, i Gse sono stati trasferiti a Casal Boccone, dove secondo la Cgil lavorano anche circa 200 outbound contrattualizzati a progetto (stagionali, la cifra è variabile).

Insomma, la sede Almaviva di Casal Boccone è chiusa – come dice l’azienda e in un tweet, recentemente, anche il ministro Carlo Calenda – o è ancora operativa? In quest’ultimo caso, ribattono lavoratori e sindacati, non è corretto obbligare chi viene reintegrato a trasferirsi in sedi lontane centinaia di chilometri. Pretesto, secondo molti, per costringerli di fatto alle dimissioni, visto che in numerosi casi si tratta di dipendenti part time o con famiglia a carico.

«Su 153 c’è il problema della chiusura di tutta la sede di Roma», ha scritto Calenda riferendosi ai reintegrati di novembre. E poi ha aggiunto, sempre via Twitter: «Mi sono comunque attivato con azienda chiedendo di considerare situazioni insostenibili al di là dei contenziosi legali». Il ministro dello Sviluppo si riferisce ad esempio alle 46 lavoratrici in maternità che, tutelate dalla legge, non sono state licenziate, ma che una volta uscite dal congedo parentale si sono comunque viste recapitare una lettera di trasferimento a centinaia di chilometri di distanza? Motivazione: «La sede di Casal Boccone non è più operativa».

«Si sta negando l’evidenza, la sede di Casal Boccone non è per niente chiusa – sostiene Marco Del Cimmuto, della Slc Cgil nazionale – Non solo ci lavorano circa un centinaio di operatori del Gse, a tempo indeterminato, ma poi ci sono anche i lavoratori a progetto in outbound».

La vede allo stesso modo Lucilla Speranza, una delle 46 mamme che hanno «scampato» il licenziamento ma devono comunque affrontare un pesante trasferimento se vogliono mantenere il proprio posto: «In realtà – spiega – di 46 siamo rimaste in 16, perché ben 30 di noi si sono già dimesse non potendosi trasferire. Noi ci auguriamo di poter restare a Roma, visto che a Casal Boccone negli ultimi mesi è arrivata la commessa Gse, ma per il momento non ci sono arrivati segnali di apertura».

La sede in sé evidentemente non è chiusa: ci sono, spiega la stessa azienda, non solo i dipendenti della holding Almaviva (che si occupa anche di servizi Ict), ma pure – come detto – una novantina di addetti Gse e un numero variabile di outbound a progetto. Solo che, sostengono ad Almaviva, questi ultimi due gruppi non sono in nessun modo sovrapponibili ai 1.666 ex dipendenti, perché i primi legati a una precisa commessa che prevedeva la clausola sociale e i secondi non parte dell’organico strutturale. L’azienda infine ricorda che «a fronte di una unica sentenza che ha reintegrato i 153 di novembre, altre 12 sono state a favore nostro».

Un’altra sentenza, in dicembre, ha dichiarato antisindacale il comportamento tenuto rispetto ai trasferimenti a Catania dei 153: ma soltanto per un problema formale, l’azienda non aveva attivato la procedura di coinvolgimento dei sindacati, e a questo punto un incontro ad hoc è stato fissato per giovedì 11. Ma intanto i lavoratori in causa insistono: «La sede romana di Almaviva non è chiusa, trasferirci è ingiusto».