La nave Phoenix è nelle acque del Mediterraneo centrale, impegnata nelle operazioni di salvataggio. Ieri hanno preso a bordo 235 migranti, provenivano da due differenti gommoni in acque internazionali. Nel pomeriggio li hanno trasbordati su Golfo Azzurro, la nave della Ong spagnola Proactiva open arms.
A gestire la Phoenix è Moas: di stanza a Malta, la Ong ha firmato per prima il codice di condotta voluto dal ministro Marco Minniti e ha deciso di continuare nelle operazioni di ricerca e salvataggio. «Siamo apolitici, continuiamo il nostro lavoro e siamo disponibili a cooperare con le istituzioni» spiega Regina Catambrone, cofondatrice e direttrice del Moas.

In mare c’è un clima di tensione con la Guardia costiera che fa capo a Tripoli: il 7 agosto i libici hanno sparato dei colpi contro la nave di Proactiva open arms e questa settimana gli spagnoli hanno denunciato un tentativo di sequestro. Catambrone racconta come procedono i soccorsi nel Mediterraneo.

Cosa è successo ieri mattina?
L’equipaggio della Phoenix ha individuato un gommone con a bordo 131 persone, tra loro tante donne e bambini. Come prevede il Codice di condotta per le Ong, abbiamo allertato il Centro di coordinamento marittimo più vicino, quello di Tripoli. Sono stati loro a gestire l’intervento. La situazione era molto critica perché si era rovesciato il gasolio a bordo: molti erano intossicati dai fumi e si rischiava che il natante prendesse fuoco. Abbiamo distribuito giubbotti di salvataggio e acqua.
La Guardia costiera libica ci ha chiesto di portare sulla Phoenix solo donne e bambini ma di lasciare gli uomini sul gommone, monitorare e mantenere la posizione. In seguito il Centro di coordinamento marittimo di Roma ci ha segnalato un altro natante con 104 persone, a 13 miglia di distanza. Su loro indicazione, abbiamo lanciato l’altra navetta di salvataggio e abbiamo iniziato la distribuzione dei giubbotti di salvataggio. Infine, la Guardia Costiera italiana si è accordata con quella di Tripoli e c’è stato dato l’ordine di portare a bordo tutti i migranti sia del primo che del secondo salvataggio. Il nostro team medico li ha visitati, nessuno è in pericolo di vita. In salvo anche un bimbo di 23 giorni.

Il rapporto con i libici non è facile. La Ong spagnola Proactiva open arms li ha accusati di averli sequestrati
È importante la cooperazione con Tripoli, si spera in un miglioramento del clima e in un’apertura di dialogo costruttivo. Di quello che è successo alla Ong spagnola so quello che ho letto sui media. Noi condanniamo ogni forma di violenza. La Libia è un paese in conflitto e non c’è un leader. Dopo anni di instabilità, nel bene o nel male, stanno cercando di riguadagnare il controllo dei loro confini. L’Onu e l’Europa fanno appelli e lavorano per la stabilizzazione del paese. Anche noi pensiamo che la sua stabilizzazione sia un tassello fondamentale, soprattutto per quanti oggi sono intrappolati nei centri di detenzione.

È possibile operare in mare dopo le nuove regole del Codice Minniti e il protagonismo della Libia?
Moas si coordina con tutte le istituzioni coinvolte, il Centro di Roma, Tripoli, le missioni europee. Abbiamo firmato subito il codice di condotta perché abbiamo voluto dare fiducia all’Italia. Il nostro è un lavoro pericoloso ma non ci sentiamo più esposti di prima. Continueremo a operare perché le migrazioni non sono un’emergenza ma un dato di fatto della storia. Se i migranti riescono a sbarcare ad Agrigento sfuggendo a qualsiasi controllo vuol dire che niente può fermare chi ha deciso di partire. Si parla solo di Ong ma si dovrebbe parlare dei migranti e con i migranti. Ci vuole un corridoio sicuro sotto il controllo della Ue. Anche per fermare questo vento xenofobo che soffia in Europa e negli Stati Uniti.

Si possono sostituire le Ong con missioni come Triton o Sophia?
Si tratta di missioni militari. Naturalmente le leggi del mare obbligano a prestare soccorso a chi è in difficoltà ma non è lo scopo principale. Le Ong non sono sostituibili perché sono l’occhio civile a protezione delle persone che continuano a imbarcarsi e cercare la salvezza dall’altra parte del Mediterraneo. Se ci fossero delle vie sicure e legali, le persone non rischierebbero la vita in mare e non ci sarebbe bisogno di Ong per salvarle.