Il coro non è fragoroso, ma l’eco si prolunga per le strade del centro di Torino: «L’ha scelto la gente, Cota presidente». Il volume della fiaccolata si alza solo con il grido «Piemont liber» e con gli sfottò ai comunisti e ai magistrati, che scaldano gli animi dei leghisti in crisi nera.

Il loro governatore, uno delle tre stampelle della fantomatica macro-regione padana, è stato considerato illegittimo dal Tar, o meglio le elezioni che 4 anni fa l’avevano portato sullo scranno più alto della Regione sono state definite «nulle», per irregolarità – firme false – nella presentazione della lista Pensionati per Cota di Michele Giovine, decisiva per la vittoria. Lui, Roberto Cota, grida al golpe, lo sottolinea più volte. «Scendiamo in piazza per difendere la democrazia e il voto dei piemontesi». Centinaia di persone, mille per gli ottimisti, comunque poche rispetto alle previsioni, hanno percorso ieri le strade di Torino dietro lo striscione «Giù le mani dal Piemonte#Io sto con Cota# Golpe Piemonte». Dalla sede del Consiglio regionale alla Prefettura.

In prima fila oltre al presidente della Regione, il governatore del Veneto, Luca Zaia, Mario Borghezio e il segretario federale del Carroccio, Matteo Salvini, che ha subito attaccato: «Solo in Italia e in Corea del Nord, dopo quattro anni, il libero voto dei cittadini viene ribaltato, ma non ci rassegniamo». Cota, ora, si affida al Consiglio di Stato, che avrà l’ultima parola sulla vicenda. «Se dovesse arrivare un imprenditore straniero di un Paese normale e vedere le elezioni annullate dopo quattro anni, alzerebbe i tacchi, dicendo che qui non c’è certezza di nulla, nemmeno del diritto. Tra l’altro si è valutata l’irregolarità di una lista e non quella di un’altra collegata a Bresso». Il riferimento è alla lista «Pensionati per Bresso», finita al centro della polemica per accuse analoghe a quelle rivolte a Giovine, condannato a 2 anni e 8 mesi. Il presunto diverso trattamento giudiziario sarà uno dei cavalli di battaglia del ricorso dei legali di Cota. Il governatore lo potrà presentare fino al 10 febbraio, dopo il deposito delle motivazioni della sentenza esecutiva del Tar. Nello stesso atto, gli avvocati chiederanno la sospensiva del provvedimento.

Intanto, da Gallarate (Varese), nel corso della protesta contro i rincari delle tariffe autostradali, arriva la solidarietà di Umberto Bossi. Cota non faceva parte dello strettissimo Cerchio magico, che aveva l’asse portante in Rosi Mauro, ma del girone appena inferiore: «Non si deve dimettere, anche tirando via i voti di quella lista, vince lo stesso», ha detto il senatùr facendo calcoli non così chiari.
Non è, dunque, ancora certo quando sarà effettivo il capolinea dell’amministrazione Cota. Ma già si sa che la sua legislatura sarà ricordata, oltre che per gli scandali giudiziari, anche per lo scardinamento di un sistema sanitario un tempo di eccellenza (la sanità, sull’orlo del commissariamento, vale l’80% del bilancio regionale, 12 miliardi di euro), per il prosciugamento dei fondi destinati al diritto allo studio e per il taglio dei treni locali.

L’opposizione pensa già alle urne. Sergio Chiamparino prepara l’addio alla Compagnia di San Paolo (primo azionista di Intesa Sanpaolo) per scendere in campo come candidato del Pd se si andrà alle elezioni anticipate. Le sue dimissioni saranno formalizzate durante il consiglio generale della fondazione del 3 febbraio.
Per qualche coincidenza astrale, proprio nel giorno della sentenza del Tar, la procura di Torino ha chiuso l’inchiesta sui locali dei Murazzi e sugli affitti non pagati, archiviando la posizione dell’ex sindaco. Chiamparino ha ottenuto il sì di Renzi, l’ok di Cuperlo e dei big piemontesi. L’unica nota stonata nel coro di giubilo è di Davide Gariglio, competitor di Fassino nelle primarie per il sindaco: «Non è scontata» la candidatura di Chiamparino. «Il principio delle primarie è previsto dallo statuto del partito. Vedremo se la candidatura dell’ex sindaco, un nome autorevole e forte, sarà l’unica, ma non è detto che lo sia». Non piace al M5S, dato al 25%: «Ora tocca a noi, altro che Chiamparino» ha detto il consigliere Davide Bono. Il destino è affidato a Palazzo Spada, sede del Consiglio di stato.