Forse è un effetto della svolta nazionalista dell’ultimo periodo, forse l’ennesima conferma dell’ipocrisia leghista. Sta di fatto che Matteo Salvini, sempre in tv a difendere (a parole) i lavoratori italiani dalla scure delle politiche economiche del governo Renzi, fino a ieri pomeriggio (e solo dopo un incontro tra i dipendenti e la stampa «nemica») non aveva ancora trovato il tempo (o la voglia, o il coraggio) di incontrare i lavoratori della Lega Nord di via Bellerio. I più padani tra i padani e che tra poco, salvo improbabili accordi dell’ultimora, rischiano di restare senza lavoro. Ma forse esistono due Matteo Salvini. Perché non è possibile che il Matteo Salvini che proprio ieri, mentre i dipendenti di via Bellerio spiegavano ai giornalisti la loro situazione, stava incontrando delegazioni di esodati del sud Italia sia lo stesso segretario federale che nei corridoi di via Bellerio scappa furtivo senza nemmeno incrociare lo sguardo di chi, da diversi anni, lavora (e milita) nella storica sede leghista. Ma alla fine, una chiacchiera veloce la concede, rinviando a venerdì prossimo la discussione più approfondita.

I soldi sono sempre meno, certo, e i fondi del finanziamento pubblico ai partiti si stanno via via esaurendo. Ma c’è anche da dire che a fronte di un bilancio di circa 10 milioni di euro del movimento padano solo 500mila euro sono stati stanziati per i dipendenti. 71 persone, la maggior parte nella sede milanese, e qualcuno sparso in sedi decentrate nel nord Italia. Di queste 71, se ne salveranno giusto 7/8, considerate «fiduciarie»; gli altri sono stati definite – parole dei vertici leghisti – «lavoratori ormai inutili».

I tempi per salvare i posti di lavoro sono stretti. Il 24 gennaio dovrebbero scadere i termini per l’avvio della procedura di licenziamento collettivo, e nei prossimi giorni potrebbe esserci un nuovo, ultimo incontro al ministero del lavoro per cercare di arrivare a un accordo. Improbabile, viste le distanze tra le parti. Il 7 gennaio c’è stato un incontro a Roma tra le organizzazioni sindacali, le rsa (sì, i sindacati confederali sono entrati in via Bellerio, altro successo di Salvini) e la Lega. Ma nessuno dei vertici ha deciso di presentarsi, lasciando la parola agli avvocati della PriceWaterhouseCoopers, la multinazionale americana che sta gestendo il patrimonio della Lega dopo la gestione «allegra» dell’epoca di Francesco Belsito (quello dei diamanti in Tanzania). Nei precedenti incontri «l’azienda Lega» aveva presentato questa proposta ai lavoratori: tutti i dipendenti subito in cassa integrazione a zero ore per 12 mesi, tranne 7/8. Più avanti, alla fine dei successivi 3-4 mesi (periodo durante il quale la Lega Nord dovrebbe apportare modifiche alla propria forma giuridica e organizzativa, anche mediante congresso per le modifiche statutarie), l’azienda, dice, verificherà se esiste la possibilità di richiamare dalla cassa integrazione qualcun altro. Durante i 12 mesi verrebbe offerta ai dipendenti in cassa integrazione la possibilità di un’improbabile ricollocazione lavorativa altrove (in un ambito non precisato) o una «buonuscita» sotto forma di 6 mensilità lorde.

Le organizzazioni sindacali, come controproposta, avevano chiesto un contratto di solidarietà per 12 mesi, per tutti i dipendenti Lega Nord (riduzione oraria e di stipendio per tutti, ma nessun licenziamento). Idea rispedita al mittente, vista la – parole testuali – ormai sopraggiunta «inutilità dei lavoratori». A quel punto i sindacalisti hanno allora chiesto, ritornando alla proposta iniziale della Lega, di utilizzare la cassa integrazione a zero ore per tutti i dipendenti (tranne le 7-8 unità da mantenere), ma solamente per i 3-4 mesi citati nella proposta. Trascorso quel termine, si sarebbe verificata la situazione economica per valutare la possibilità di far rientrare a pieno titolo tutti i dipendenti (o almeno una parte di essi) o prorogare la cassa integrazione per un altro periodo di tempo. Altra proposta rispedita al mittente.

A questo punto impossibile arrivare a un accordo. Molto più facile lasciare direttamente a casa questi «inutili lavoratori». Da «padroni a casa nostra» a «licenziati in casa nostra», il passo è breve.