Agosto in Giappone è tradizionalmente un mese dedicato al ricordo dei defunti, non solo l’immane tragedia delle due bombe sganciate nel 1945 ma anche, nella settimana centrale, il cosiddetto periodo dell’Obon, in cui si visitano le tombe e si onorano gli spiriti degli antenati. Nell’arcipelago però esistono anche delle tombe, o meglio, dei complessi tombali, di tutt’altro genere e dimensioni che punteggiano e caratterizzano, quasi invisibili da altezza terra, tutto il territorio nipponico.

Si tratta di antiche sepulture denominate kofun e risalenti ad un periodo che va dal terzo al sesto secolo d. C., chiamato appunto periodo Kofun. I tumuli attualmente rilevati sono quasi 30mila, diversissimi per forma e dimensione. Il periodo Kofun rappresenta un importante snodo fra preistoria e storia dell’arcipelago, infatti proprio in questi secoli si comincia a formare in maniera concreta l’idea di uno stato giapponese, dapprima solo un insieme di pochi nobili clan, e sempre in questa era si sono instaurati dei forti contatti con i territori vicini, specialmente quello dei tre regni di Corea.

La maggior parte di questi complessi tombali, almeno quelli più imponenti ed importanti, è concentrata nella zona centrale e meridionale dell’isola principale di Honshu, specialmente nella zona compresa fra Osaka e Nara, l’antica capitale giapponese. Proprio in questa zona si trovano i tumuli più «spettacolari», quelli che da veduta aerea ricordano la forma di un buco della serratura, quasi un portale da cui entrare per capire e carpire i riti e le usanze delle popolazioni dell’epoca.

Esistono anche altre forme, rettangolari e circolari, e la grandezza di queste sepolture varia in relazione all’importanza della persona defunta: ecco così che i più maestosi sono quelli dedicati agli imperatori o famiglie nobili e di una certa posizione sociale.
Senza dubbio il kofun più famoso ed imponente per estensione è quello di Daisenryo, dove sarebbe sepolto il sedicesimo imperatore, Nintoku, un tumulo lungo 486 metri e largo 249 che si trova nella cittadina di Sakai nella prefettura di Osaka.

Le fotografie aeree che si possono facilmente reperire in rete sono davvero sorprendenti e ci mostrano una vasta zona verde dalla forma di serratura appunto, al centro di un altrettanto vasto agglomerato urbano. Una caratteristica che accompagna i kofun più importanti e quelli giunti sino a noi nelle condizioni migliori è la presenza nelle camere tombali degli haniwa, delle statuette di terracotta raffiguranti per lo più animali, uomini, armature, armi, scudi ed altri oggetti di uso comune. Il significato di queste statuette, di solito disposte in forma circolare non è stato unanimemente chiarito, ma probabilmente si tratta di rappresentazioni della vita oltre la morte o di rituali legati alle cerimonie funerarie.

Tutti i riti e le usanze legati alla sepoltura e alle statuette haniwa e in generale al periodo Kofun ci parlano di un’era protostorica del Giappone in cui i vari culti religiosi sparsi lungo tutto l’arcipelago non si erano ancora solidificati e sviluppati in quello che oggi viene denominato shintoismo. Anche perché lo shintoismo come lo conosciamo oggi nasce anche come reazione all’avvento della nuova religione, il buddismo, arrivato nell’arcipelago verso la metà del sesto secolo d. C. Proprio per questi motivi il periodo Kofun, per quel poco che si riesce ad evincere dai resti tombali e dagli scritti redatti nei secoli successivi in base a leggende orali, rappresenta davvero un punto di entrata eccentrico nella cultura del Sol levante ed uno sguardo diverso dal solito sul Giappone e la sua storia.