Sembra che in Italia qualcuno sia rimasto impressionato dal numero di persone – si parla di oltre un milione; le agenzie russe si fermano a 800mila – che hanno partecipato lunedì alla marcia di Grozny contro le caricature di Maometto.

Si tenta di esorcizzare – o forse in tal modo lo si evoca – lo spettro jihadista. Attorno alla grande moschea di Grozny si ssono radunate persone di fede musulmana provenienti da Caucaso settentrionale e Russia centrale. Intervenendo dopo il presidente ceceno Ramzan Kadyrov, il metropolita di Makhachkalà e Grozny, Varlaam ha detto «tutta la chiesa ortodossa russa condanna categoricamente le caricature. Dichiariamo un netto no al male che si tenta di diffondere tra le nostre religioni».

Il presidente della Direzione spirituale dei musulmani russi Ravil Gajnutdin: «Ci sono terroristi tra i rappresentanti di popoli e di religioni diverse. Ma per questo nessuno ha il diritto di accusare la religione e interi popoli». Una manifestazione simile, ma di dimensioni molto più modeste, si era svolta sabato scorso nella vicina Ingushetia, il cui Presidente Evkurov aveva dichiarato che «la pubblicazione delle caricature blasfeme del profeta non è altro che una manifestazione di estremismo di stato da parte di alcuni paesi occidentali»; ma, al tempo stesso «è indiscutibile che ogni persona di buon senso si esprime contro ogni violenza o atto terroristico». L’ondata di proteste nei paesi musulmani si è sollevata dopo la pubblicazione del numero di Charlie Hebdo successivo alla strage di Parigi del 7 gennaio.

Ma, nella manifestazione di Grozny, a meno di non volerlo evocare espressamente, è difficile vedere qualcosa che somigli a una Jihad, la quale, d’altronde è in atto e di cui la Cecenia stessa continua a essere vittima.

L’assalto più sanguinoso (non l’ultimo e non nella sola Cecenia) risale al 4 dicembre scorso: a Grozny, pagarono con la vita 14 poliziotti ceceni. E il giorno successivo, alla Rada ucraina, deputati del Partito radicale, comandanti di battaglioni neonazisti, proponevano di aprire un secondo fronte contro la Russia, fornendo appoggio e basi ai terroristi ceceni e daghestani.

Il deputato Igor Mosijchuk (uno dei capi del battaglione «Azov»), invitava a stimolare azioni del tipo di quella di Grozny in tutta l’Asia centrale.

Un anno prima, attentatori daghestani avevano causato la morte di 34 persone a Volgograd. Guerriglieri ceceni combattono con i battaglioni neonazisti nel Donbass. Forse ci si riferisce a tutto ciò quando si evoca la Jihad cecena. In occasione dell’attacco del 4 dicembre a Grozny, gli stessi media nostrani scrissero di «movimenti indipendentisti ceceni»: quando il terrorismo che dice di rifarsi all’Islam attacca gli interessi occidentali, allora si tratta di terrorismo; in caso contrario, si tratta di insorti per giusta causa.

Se il perno della questione è davvero la libertà di espressione dei giornalisti, allora dovremmo parlare – per ricordare un solo esempio di giornalisti ammazzati sul posto di lavoro – dei sedici giornalisti della televisione serba massacrati dal bombardamento umanitario della Nato su Belgrado nel 1999. Anche quello, così come le dodici vittime del terrorismo che dice di rifarsi alla religione islamica, fu giudicato a Washington un «legitimate target»: quei giornalisti facevano propaganda!