In Italia il paesaggio ha avuto una forma ottocentesca fino a metà ’900. Dominava la coltura promiscua, con stili diversi a seconda delle zone e delle tradizioni locali, ma con un carattere comune: la compresenza di seminativi e colture arboree intimamente associate. Le pianure (tutte, perfino la pianura padana) erano fittamente alberate. I tipi dell’insediamento nelle zone extraurbane potevano essere diversissimi ma in ogni caso esprimevano un comune carattere rurale.

Nel volgere di pochi decenni tutto questo è cambiato in profondità. Il confronto tra le foto aeree dei primi anni ’50 e quelle degli anni ’80 non lascia margini di dubbio. Le monocolture a seminativi nudi hanno soppiantato la coltura promiscua. Le sue tipiche manifestazioni di versante, i terrazzamenti, sono state mandate in rovina e sostituite con la tecnica del ritocchino, responsabile della dissipazione di quantità enormi di suolo prezioso trasformato in trasporto solido dei fiumi e in sedimento degli apparati deltizi. Sistemazioni di versante con muri a secco, eredità di secoli di lavoro, sono state distrutte in poche ore, con le ruspe e sostituite con sistemazioni che davano l’illusione di una maggiore produttività. La causa di entrambi i mutamenti, in pianura e in collina, è, come sappiamo, l’enorme riduzione degli addetti all’agricoltura e la contestuale diffusione delle macchine. Le campagne oggi appaiono sempre più vuote.

L’erosione è continuamente all’opera e certi suoi effetti sono fatali. Pratiche quotidiane molecolari possono garantire un controllo sui fenomeni meno ineluttabili. Ma prima delle pratiche, e insieme a queste, è essenziale che l’occhio umano sia messo in condizione di osservare, rilevare, segnalare. Poi seguiranno manutenzione dei boschi, tecnica delle arature, opere di sostegno, vigilanza sui tracciati stradali (quante strade panoramiche inutili e dannose!), opinioni vincolanti sui progetti «di sviluppo»: quello, incombente sulle Dolomiti, che pretende l’aumento delle piste di sci e dei percorsi panoramici o l’altro che vuole addirittura ampliare aree di scavo nuove o riaprirne di vecchie sulle Alpi Apuane già smontate a fette per ridurre il marmo in polveri abrasive o da dentifricio.

L’ordine idraulico è l’approssimativo rimedio alle leggi fisiche. Nelle pianure mature i fiumi sono pensili: il loro flusso di piena scorre ben al di sopra del piano di campagna all’intorno e infatti i suoi terreni sono detti, appunto, alluvionali. È motivo di stupore verificare come la gran parte delle opere di regimazione dei fiumi sia stata condotta con mezzi tecnici antichi. E altrettanto curioso è che opere moderne, realizzate con tutti i vantaggi delle macchine, producano esiti stupefacenti come le piene che rifiutano di passare «sotto» dentro il canale tombato e preferiscono passare “sopra” in mezzo alla città (ultimo, per l’ennesima volta, il Seveso). Manutenzione costante e, se necessario, innalzamento degli argini, sono necessità largamente trascurate. Già il granduca di Toscana poteva scrivere, nella seconda metà del settecento, che basta una buca di talpa a mettere in crisi un argine, verità spesso dimenticata dagli odierni enti di bonifica. Ma una piena è sempre il frutto non di una «bomba d’acqua» (termine che relega il fenomeno nel quadro degli eventi “fatali”) ma della gestione del reticolo idrografico a monte.

Al di là degli eventi davvero eccezionali (che si stanno rilevando normali) la cautela scientifica dovrebbe esercitarsi sempre e comunque, e soprattutto in anticipo, sulla gestione dell’intero reticolo idrografico. Tutto ciò porta a concludere che la società dovrebbe impegnarsi a garantire nel modo più costante, pervasivo e interrogativo il presidio umano sull’intero assetto del territorio. I fondi destinati alle cosiddette grandi opere dovrebbero essere impegnati nell’unica vera grande opera necessaria: la cura della stabilità dei versanti e dell’ordine idraulico, la difesa dei suoli, la vigilanza sulla sostenibilità ecologica delle pratiche agricole, la protezione del paesaggio.

Il nuovo grande lavoro sociale potrebbe poi essere arricchito dai tanti suggerimenti che vengono dall’esperienza. Un esempio, al tempo stesso minuscolo e grandioso, che si inserisce nella gestione dell’acqua: se ogni condominio fosse dotato di una cisterna, commisurata alle sue dimensioni, per la raccolta dell’acqua piovana destinata agli usi compatibili (lavaggio, annaffiatura ecc.) quali gli effetti di risparmio.