È stata giocata fino in fondo come una questione di potere, dunque alla fine chi ha vinto e chi ha perso nella partita dell’elezione dei giudici costituzionali? L’accordo tra Renzi e il Movimento 5 Stelle – che ha consentito mercoledì sera di eleggere i tre giudici della Corte che mancavano da diciotto, undici e cinque mesi – non è una novità assoluta né per quanto riguarda la Consulta (i grillini parteciparono un anno fa all’elezione della giudice Sciarra) né in generale se si pensa alla legge sugli ecoreati e al primo passaggio delle unioni civili. Ogni volta si parla di una possibile maggioranza alternativa, ogni volta per non più di 48 ore. Questa volta, però, per arrivare all’accordo che ha sbloccato la Consulta – che era ridotta a 12 giudici, praticamente alla soglia del minimo legale – i 5 Stelle hanno dovuto fare un clamoroso passo indietro. E votare per quell’Augusto Barbera che avevano pubblicamente bocciato, persino sul blog, tre settimane fa.

Non tutti i deputati e senatori grillini l’hanno votato, e del resto nelle assemblee solo la metà dei parlamentari si era espressa in favore dell’accordo sponsorizzato da Casaleggio. Barbera è risultato alla fine il meno votato, ha superato il quorum di appena dieci voti e ne ha raccolti 28 in meno rispetto candidato grillino. Quel professor Franco Modugno sul quale il Pd aveva immediatamente espresso il suo gradimento. Il voto è segreto e si può solo immaginare una silenziosa sedizione grillina. Assai più probabile del mal di pancia della minoranza bersaniana nel Pd, che nelle prime votazioni aveva mosso assai più voti. E che in fondo in questo modo può festeggiare l’apertura del «canale» con i 5 Stelle, vecchia idea di Bersani, immaginando di riproporla nel passaggio finale della legge sulle unioni civili.
Il giorno dopo, ieri, era evidente l’imbarazzo dei 5 Stelle. Sul blog erano spariti gli attacchi a Barbera, definito pochi giorni fa un «uomo di partito» chiaramente scelto per favorire «un accordo di spartizione con Forza Italia» (che invece è stata esclusa). Il costituzionalista bolognese non era nemmeno nominato, piuttosto sul sito di Grillo si esaltava il «metodo 5 stelle» che avrebbe consentito di mettere in sicurezza la Corte e interrompere lo spreco di risorse pubbliche dovuto al protrarsi delle votazioni. Ma se avessero votato Barbera dall’inizio, anche senza votare il forzista Sisto, due nuovi giudici costituzionali su tre sarebbero in servizio da ormai tre settimane. Anche l’argomento usato ieri dal vicepresidente della camera Di Maio per giustificare il mancato ricorso alla consultazione della rete sui giudici da votare – «non c’era tempo» – è poco convincente. Visto che i nomi di Barbera e Modugno sono in campo da tantissimo tempo e almeno su quelli si poteva ben consultare la «base», volendo. Le molte critiche pubblicate ieri sul blog di Grillo testimoniano che si è trattato di un passaggio discutibile, non certo di una chiara vittoria.

Chi invece è convinto di aver vinto è il presidente del Consiglio. Che ha impegnato il parlamento in un braccio di ferro lunghissimo pur di evitare la nomina di giudici poco graditi. L’impasse si stava protraendo troppo a lungo, fino a che «Renzi fa eleggere i tre giudici» – come festeggiava ieri in apertura La Stampa. E chi sia stato a non farli eleggere per un anno e mezzo non si sa.
Mentre il segretario dei radicali italiani Riccardo Magi fa notare la stranezza di aver eletto nella Corte costituzionale un giudice (d’appello) della corte del vaticano – il cattolico Prosperetti – la lettura dei fatti che ieri andavano proponendo i renziani aiuta a chiarire chi sia stato il vero vincitore. «Se Barbera non fosse passato neanche questa volta – spiegava una fonte vicina al premier – difficilmente avremmo potuto continuare a sostenerlo». I 5 Stelle hanno consentito l’elezione in extremis di un giudice apertamente schierato in favore delle riforme del governo.
La legge elettorale è la prima che certamente andrà davanti alla Consulta – ce la porteranno i tribunali che da gennaio cominceranno a discutere i ricorsi, i parlamentari di minoranza dopo l’approvazione della riforma costituzionale, o i cittadini con il referendum. È vero che l’Italicum ricalca molti dei difetti per i quali era stato dichiarato incostituzionale il Porcellum, ma il collegio che lo giudicherà è già cambiato in sei giudici su quindici rispetto a quello che bocciò le liste bloccate e il super premio di maggioranza. E, anche grazie alle ultime nomine, Renzi può non essere pessimista.