Ora l’ultima parola sull’applicazione dell’articolo 7 nei confronti dell’Ungheria spetta ai singoli paesi membri dell’Ue. Il premier Conte, stretto tra i due alleati di governo che a Strasburgo hanno votato all’opposto, ha un bel dilemma, anche se Di Maio lo avrebbe già convinto a votare sì alle sanzioni. E un bel dilemma hanno i 5 Stelle che devono decidere sulla collocazione europea. I dodici parlamentari europei del M5S sono stati gli unici del loro gruppo, l’Europa della Libertà e della Democrazia diretta fondato dal leader Ukip Nigel Farage, a votare per la procedura d’infrazione. Difficilmente l’approvazione del report condurrà alle sanzioni, di certo però quel voto diventa uno spartiacque per il futuro delle famiglie politiche europee.

Il gruppo del M5S difficilmente esisterà ancora nella prossima legislatura, causa Brexit. Dunque, il M5S è obbligato a posizionarsi perché scegliere di non scegliere, e quindi entrare nel gruppo misto, secondo le regole del parlamento europeo significa rinunciare a finanziamenti, avere i minuti contati e abbandonare la possibilità di contare qualcosa.

Come uscirne, dunque? Dopo la fallita operazione di mettersi insieme ai liberali dell’Alde e a cavallo delle scorse elezioni politiche italiane e nel pieno della svolta moderata impressa da Luigi Di Maio al M5S, c’era stata la suggestione di allearsi con En Marche di Emanuel Macron. Il giovane partito francese veniva considerato una forza post-ideologica al pari di quella fondata da Grillo e Casaleggio. Soltanto che proprio l’altro giorno, per smarcarsi da ogni speculazione politica sulle sorti del governo, i grillini a Strasburgo hanno paragonato l’inquilino dell’Eliseo proprio a Orbán. Di allearsi con le sinistre e i verdi non se ne parla.

Anche se le statistiche dicono che spesso molti eletti in Europa del M5S hanno votato in aula come questi ultimi, difficilmente Gue ed ecologisti si metterebbero in casa un partito con un peso non indifferente e che nel suo paese è al governo con l’estrema destra. Oltretutto, i verdi hanno già sbarrato la porta cinque anni fa ai grillini proprio per le loro posizioni sui migranti.

Il vicepresidente dell’assemblea in quota M5S Fabio Massimo Castaldo nei giorni scorsi ha dribblato la questione, limitandosi a spiegare che l’obiettivo dei nuovi eletti sarà quello di fare da «ago della bilancia» di equilibri continentali che auspica profondamente mutati. Castaldo difende la scelta di votare contro Orbán ma ammette: «Con la Lega qui in Europa ci coordiniamo, ove possibile». La formula che circola tra i grillini è questa: «In questo momento qualcuno sta lavorando per costringerci a scegliere e polarizzare, da una parte i sovranisti e dall’altra chi spinge oltremodo per l’integrazione dei migranti, ma le posizioni non sono così distanti». «Vogliamo lavorare per la terza via», ribadisce Castaldo. È presto per dirlo, e dall’Europa sono spesso arrivate sorprese per i vertici M5S, ma se il terremoto elettorale che anche Di Maio dice di attendersi in primavera assomiglia a quello che si augura il suo socio al governo Matteo Salvini, allora significa che i grillini finiranno a far da sponda alla convergenza tra popolari e destre.