I grandi paesi fanno blocco con Madrid al Consiglio europeo. Mariano Rajoy incassa e se la cava con un «no comment», dopo aver saltato la riunione del Ppe per motivi di forza maggiore. La Catalogna non era all’ordine del giorno a Bruxelles – stando ai Trattati resta una «questione interna» – ma l’elefante è entrato nella cristalleria. Emmanuel Macron ha annunciato un messaggio di «unità» rivolto alla Spagna (ma pensa anche al Brexit), Angela Merkel non poteva che dichiarare «appoggio Rajoy» e auspicare una «soluzione sulla base della Costituzione» (l’articolo 155 spagnolo è stato copiato dalla Costituzione tedesca, anche se non è mai stato utilizzato finora), la Gran Bretagna è sulla stessa linea, mentre il belga Charles Michel sottolinea la condanna di «ogni violenza da qualunque parte venga» e invita al «dialogo politico».

THERESA MAY, che con la lettera ai cittadini europei ha cercato di calmare le acque, a cena ha affrontato le difficoltà dei negoziati del Brexit, ma i 27 entreranno nel merito solo oggi, quando si riuniranno senza la Gran Bretagna. Londra vorrebbe aprire la «fase 2» dei negoziati, ma i 27 insistono: prima bisogna chiarire i tre punti della «fase 1» (diritti dei cittadini europei, confine con l’Irlanda e contributo britannico per uscire) ma per il momento il negoziatore Ue, Michel Barnier, ritiene che non ci siano «progressi sufficienti».

Il primo ministro irlandese, Leo Varadkar, è inquieto: «Non è stato fatto ancora abbastanza sui confini», anche se c’è la volontà comune di preservare gli accordi di pace del ’98.

La data possibile per avviare la fase 2 è rimandata a metà dicembre, per i negoziati sul commercio e per la risposta alla richiesta di Theresa May di un «periodo di transizione» di due anni dopo il Brexit che avverrà il 31 marzo 2019. Ma il presidente del Consiglo Ue, Donald Tusk, resta molto prudente anche su questa data, bisognerà «lavorare sodo» per rispettarla.

L’olandese Mark Rutte ha sottolineato che manca «chiarezza» sul bill: Londra accetterebbe di pagare 20 miliardi di euro per i programmi in corso in cui è impegnata, ma a Bruxelles la cifra sale a 60-80 miliardi per assicurarsi che non saranno lasciati “buchi” in eredità agli stati membri.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, Boris Johnson, sbotta: «La Gran Bretagna starà benissimo anche senza accordo».

Il leader laburista Jeremy Corbyn è stato a Bruxelles ieri, dove con Mr.Bexit del Labour, Keir Starmer, ha incontrato Barnier e il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, per cercare di sbloccare la situazione e uscire dagli «egoismi nazionali». La diplomazia britannica cerca le debolezze nel fronte dei 27, che potrebbe incrinarsi sulla disputa dell’eredità delle due Agenzie (bancaria e dei medicinali) che hanno la sede in Gran Bretagna e dovranno essere rilocalizzate in altri paesi membri.

Nel menu della cena c’erano le questioni internazionali. Mrs.Pesc, Federica Mogherini, vorrebbe più sanzioni contro la Corea del Nord, poi mette avanti la politica estera «con il sorriso» per un pieno appoggio all’accordo con l’Iran messo in crisi dagli Stati uniti di Donald Trump.

CAPITOLO DELICATO è quello relativo alla Turchia. Angela Merkel, che deve fare i conti con i possibili alleati del nuovo governo, vorrebbe dei tagli ai fondi di pre-accesso versati alla Turchia, per fare pressione sulla questione dei prigionieri politici di Erdogan, anche se Berlino non ha intenzione di toccare i finanziamenti dati ad Ankara per tenersi i rifugiati. Ma queste discussioni non dovrebbero venire citate nel comunicato finale del Consiglio. La Turchia irrita anche la Nato, perché Erdogan ha confermato l’acquisto di missili russi S-400 (2,5 miliardi di euro).

La Ue deve rigenerarsi, Tusk ha proposto un programma scandito in 13 vertici in due anni, per rilanciare la Ue dopo il Brexit. La difesa è uno dei punti dell’«Agenda dei leader» di Tusk: la Francia prevede che la cooperazione rafforzata in questo settore possa partire entro l’anno e che nel 2019 potrà vedere la luce il fondo europeo di difesa.
Già a dicembre potrebbe venire convocato un primo vertice della zona euro. In sostanza, la Ue si avvia verso un funzionamento a più velocità. Per Tusk, «l’unità non può essere sinonimo di stagnazione».

LA FRANCIA ha messo sul tavolo la necessità di «protezione» nei negoziati commerciali: per Macron la Commissione sta andando troppo in fretta, con il Mercosur, l’Australia o la Nuova Zelanda, mentre ci sono questioni da discutere (ambientali e sociali) ancora sul Ceta con i Canada.

Stamattina i leader europei affronteranno anche la tassazione per le multinazionali del digitale, 20 paesi sono d’accordo, anche se non sono chiare le modalità più adatte.