Non ci sono cifre ufficiali: si parla di trecento morti, c’è chi giura siano migliaia. Lo stesso silenzio si posa sugli arrestati, migliaia. Sono i grandi interrogativi di quanto accadde nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 in Cina. Ogni tanto qualche ong squarcia il silenzio attraverso comunicazioni che in concomitanza con la ricorrenza delle proteste trovano l’attenzione dei media.

Così in questi giorni, secondo quanto comunicato dalla Dui Hua Foundation, Jiang Yaqun, 73 anni, malato di Alzheimer sarebbe l’ultimo prigioniero politico arrestato in seguito agli eventi del 1989, a essere stato rilasciato da un prigione cinese. Secondo la nota della ong statunitense, «Jiang Yaqun è stato rilasciato lo scorso novembre da una prigione di Pechino senza una casa o una famiglia dove andare dopo la detenzione e senza alcuna fonte di reddito». Sono storie tragiche, di gente ha trascorso ventiquattro anni in carcere, spesso finendo per perdere il bandolo della ragione. Jiang è stato condannato a morte con sospensione della pena di due anni dal Tribunale del Popolo di Pechino per sabotaggio controrivoluzionario il 17 luglio 1990. La sua condanna fu commutata in ergastolo e ulteriormente ridotta in cinque occasioni. Diagnosticato con «lieve ritardo mentale» Jiang è stato trasferito nel 1993 alla Yanqing Prison, «che dispone di un reparto speciale per anziani, deboli, malati, carcerati e disabili».

Con il rilascio di Jiang, secondo la Dui Hua sarebbero ormai solo una manciata le persone che rimangono in carcere per presunti crimini commessi durante le proteste del 1989, quando venne instaurata la legge marziale. Stando alle informazioni fornite dal Dui Hua solo un altro individuo starebbe scontando una pena detentiva di Pechino. Si tratterebbe di Miao Deshun 49 anni, condannato a morte con sospensione della pena di due anni dalla Corte intermedia del popolo di Pechino per incendio doloso il 26 ottobre 1989. La sua condanna fu commutata in ergastolo il 21 dicembre 1991. Miao ha trascorso del tempo in isolamento, finché sua pena è stata ridotta a 20 anni nel settembre 1998. Da quanto sanno le ong che si occupano del caso, Miao sarebbe stato trasferito nel 2009 presso un altro centro detentivo, riservato «ai malati mentali». A livello nazionale, sarebbero 1602 le persone che furono imprigionate durante le giornate del 1989, accusati di «grave turbamento» e «contro rivoluzione».

C’è infine il fenomeno dei «recidivi»: attivisti che liberati, ripresero le proprie azioni politiche, finendo per essere nuovamente arrestati. Tra questi Chen Xi membro del gruppo Guizhou Human Rights condannato nel dicembre 2011 a 10 anni di carcere per incitamento alla sovversione e Li Bifeng , un poeta condannato nel novembre 2012 a 12 anni di carcere per accuse relative a presunte «frodi economiche», una soluzione – come ha dimostrato il celebre caso di Ai Weiwei – utilizzata molto spesso dalle autorità per togliere di mezzo voci scomode.

Questo tipo di informazioni, naturalmente, non circola in Cina, bensì attraverso canali che arrivano da Hong Kong, o via internet. E proprio la rete sarà al centro dell’attenzione in questo ventiquattresimo anniversario di Tiananmen: si tratta dell’esordio «censorio» della nuova leadership e secondo alcune organizzazione che si occupano di monitorare il web cinese, ci sarebbero già i segnali di un innalzamento delle attività censorie, attraverso il controllo della parole proibite. Vedremo se, come gli altri anni, utilizzando la fantasia e le tante possibilità offerte dalla scrittura cinese, attivisti o semplici cinesi desiderosi di ricordare, riusciranno a «bucare» ancora una volta il Grande Muro di Fuoco della Pechino virtuale.