Il responsabile della campagna per il No al referendum sugli accordi di pace in Colombia, l’ex senatore Juan Carlos Vélez, ha rivelato la «strategia vincente» suggeritagli «dagli strateghi di Panama e Brasile» : non spiegare gli accordi, ma centrare il messaggio «sull’indignazione» e sul pericolo che la Colombia «diventasse come Cuba o il Venezuela». Una campagna finanziata con 1.300 milioni di pesos da 30 grandi committenti e 30 imprese colombiane. Come la Ardilla Lulle, tra i più grandi gruppi industriali colombiani e dell’America latina – produce beni e alimenti e possiede vari media come Rcn Television e Ntn24. Carlos Ardila Lulle, proprietario del gruppo, è tra gli uomini più ricchi del paese, in prima fila nel finanziare le campagne politiche della destra.

Per quella di Uribe, nel 2002, ha elargito 500 milioni di pesos e nel 2006, 50 milioni. Altro mega-apporto, quello del Gruppo Uribe, che vende abiti di marca in Colombia e nei Caraibi, guidato dalla famiglia dell’ex presidente, oggi senatore: il primo ad accettare la proposta di mediazione dell’ex presidente venezuelano Hugo Chavez, nel 2008. Il primo a interrompere, però, quei primi colloqui, imponendo condizioni inaccettabili per la guerriglia, mai proposte ai suoi amici paramilitari.

I colloqui sono poi ripresi con Santos alla presidenza, il ruolo della Norvegia (ospite a Oslo dei primi contatti) e l’accompagnamento di Venezuela e Cile. I tavoli di pace sono poi proseguiti a Cuba dal 2012 fino agli accordi di fine agosto, firmati a Cartagena il 26 settembre. In Venezuela sono in corso le trattative con la seconda guerriglia colombiana, quella guevarista dell’Eln.