Tempi duri per i giovani italiani che continuano ad espatriare in massa alla ricerca di opportunità che non trovano in Italia: dalla Svizzera all’Inghilterra, storiche mete di emigrazione italiana, ultimamente non vedono più il loro arrivo di buon occhio. Finora però i dati – quelli raccolti dalla fondazione Migrantes che ieri ha presentato il suo rapporto «Gli italiani nel mondo 2016» – continuano a segnalare un incremento tendenziale continuo, di anno in anno, delle partenze.

Il trend è indicato dal bilancio demografico Istat, aggiornato allo scorso giugno, e segnala che quasi 5 milioni di italiani (4.811.163) hanno lasciato il Belpaese, il 7,9 della popolazione, con un aumento di 174.516 persone nell’ultimo anno, più 3,7 per cento. Oltre la metà di questi cinque milioni si sono fermati in Europa (il 53,8%) ma 1,9 milioni vive in America – dall’Argentina al Brasile, non solo negli Stati Uniti – e il resto si è distribuito un po’ ovunque, dal Medioriente alle mille diaspore e comunità di italiani nel mondo, nelle tante little Italy, da Shanghai ai siciliani di Sydney agli expat di lusso di Dubai.

Non è possibile ricostruire un’unica motivazione, un unico identikit degli italiani espatriati. Chi parte di sicuro non ha più la valigia di cartone, ma continua a essere in prevalenza di sesso maschile, giovane, celibe, con un titolo di studio basso e in cerca di una chance, di vita e di lavoro, che nel 45,4% dei casi considera l’unica possibile per una propria realizzazione, «in un paese bloccato e con poche prospettive per i giovani», secondo quanto scrivono gli stessi i ricercatori della fondazione Migrantes in una valutazione comparata con i risultati di una ricerca dell’Istituto Toniolo dedicato ai Millennials, i ragazzi tra i 18 e i 32 anni, definiti «la prima generazione mobile».

I dati sono raccolti tramite i registri Aire di cancellazione della residenza nei comuni italiani, che però, pur essendo una comunicazione obbligatoria per chi se ne va per più di dodici mesi, non tutti compiono. Quindi si tratta di dati più indicativi più che esaustivi.

Alcuni sono parecchio indicativi. Ad esempio l’analisi dei luoghi e delle condizioni di partenza. Non si pensi a una emigrazione meridionale e rurale come nell’Ottocento. Ora si parte dalle grandi aree urbane: Roma ad esempio, finora considerata una meta, una città accogliente ma comunque di arrivo, si è trasformata in una caput exiti, con una incidenza di emigrazione da record nazionale (10,5%), pari forse solo a quella dei piccoli comuni della provincia di Agrigento.

A livello regionale si spopolano di più, nell’ordine, la Lombardia, l’Emilia-romagna e il Veneto. La Sicilia è solo seconda quanto a flusso migratorio in uscita ed è l’unica regione del Sud tra le prime cinque in numeri assoluti. Concorre qui, a irrobustire il flusso, la città di Palermo che dal 2014 al 2015 ha visto raddoppiare il peso degli espatri (da 1.582 a 3.028), un boom. Mentre, quanto alle dinamiche migratorie interne all’Italia, nel saldo negativo di residenti il maggior incremento si registra al Centro Italia (+211 mila cancellazioni) seguito dal Nord-Est.

Cambiano anche le destinazioni, accanto a Argentina, Germania e Svizzera, dove si trovano le comunità più storiche e corpose, nell’ultimo decennio si sono imposte due nuove mete: il Brasile e la Spagna. Quest’ultima è di gran lunga la più gettonata anche per gli studenti universitari e i tirocinanti di Erasmus Plus. C’è persino una ricerca dell’istituto di statistica spagnolo che certifica come tra il 2005 e il 2015 la presenza degli italiani specialmente a Madrid e Barcellona sia aumentata del 10% e del 13% l’anno, ad eccezione che tra il 2009 e il 2011 quando è rimasta in stasi per l’acuirsi della crisi economica.

In Spagna vanno i giovani con scarsa scolarizzazione a lavorare nel settore ristorazione e anche quelli con laurea e master, sia uomini che donne. E restano più facilmente. Dal 2013 il numero degli universitari che cercano una esperienza nel Regno Unito, in Germania o nel resto degli atenei europei è comunque drasticamente diminuito, addirittura dimezzato in quelli tedeschi, per il ridursi delle disponibilità economiche familiari, mentre sono andate crescendo via via le iscrizioni nellefacoltà extraeuropee dove tasse universitarie e costo della vita sono inferiori.

Non tutti se ne vanno per sempre. I rimpatri, soprattutto in Lombardia e Toscana,a Trento, in Friuli, in Valle d’Aosta (tutte regioni dove la qualità della vita è al top nella classifica nazionale) però sono pressochè costanti, tanto che nel 2014 il saldo migratorio complessivo è risultato negativo (-59.588 unità).