Era il 6 agosto quando poco più di una cinquantina di ragazzini afghani hanno occupato piazza Mynttorget, a Stoccolma, per protestare contro i rimpatri forzati verso l’Afghanistan. Da allora in Svezia è scoppiata la più grande mobilitazione europea contro le deportazioni degli ultimi anni.

SONO GLI STUDENTI AFGHANI di «Ung I Sverige» – «giovani in Svezia» – ad aver acceso la miccia delle proteste, occupando giorno e notte prima la città vecchia e poi Medborgarplatsen, una delle piazze principali della capitale. A partire da Stoccolma i presidi e le mobilitazioni si sono diffuse a macchia d’olio in tutto il paese.

Anche a Goteborg e Malmo hanno iniziato a svolgersi presidi permanenti nelle piazze principali. La Svezia non è esente dal giro di vite sulle migrazioni messo in atto dai vari governi europei.

Oltre a complicare il rilascio di permessi di soggiorno permanenti e ricongiungimenti familiari, da ormai un anno sono iniziati i rimpatri forzati verso l’Afghanistan.

È la ragione principale della nascita di questa mobilitazione permanente: il primo attacco frontale alle politiche di privazione dei diritti dei migranti presenti nell’agenda politica di ogni paese europeo. Se in passato sono state fatte molte manifestazioni per l’accoglienza, anche oceaniche come a Milano e a Barcellona, in questo contesto è stato messo in campo un livello di organizzazione e conflittualità inedito.

A STOCCOLMA i diretti interessati dalle conseguenze delle leggi piglia-voti sull’immigrazione sono andati a bussare alla porta del governo, chiedendo un cambiamento, qui e ora.

Non si tratta insomma di mobilitazioni un po’ vaghe, come quella milanese, rispetto agli scopi prefissi, che spesso si esauriscono dopo una bella giornata di sole, ma di un movimento che lotta per il cambiamento subito, senza dover aspettare o cedere a promesse e ricatti.

Dopo i primi giorni a Mynttorget, un gruppo neo nazista ha assaltato la piazza causando dei feriti. Né questo né i fallimentari contro-cortei xenofobi, flop con meno di 100 persone, hanno intimorito i manifestanti.

La piazza di Ung I Sverige resiste, continua a ingrandirsi e a ricevere sempre più solidarietà e simpatizzanti. Sabato scorso un cordone umano di solidali svedesi ha circondato la manifestazione in vista dell’arrivo del rally razzista.

IL SITTSTREJK – sciopero seduto, come lo chiamano i manifestanti – sta a significare il rifiuto della precarietà delle loro vite, messe continuamente sotto scacco dal ricatto del permesso di soggiorno e dalla possibilità di essere espulsi.
In queste prime tre settimane di sciopero sono diverse le iniziative partite dalla piazza.

Diverse manifestazioni, tra cui la più grande svoltasi domenica scorsa per le vie della città, o il blocco della deportazione di un giovane ragazzo afghano di questo martedì. Ciò è stato possibile grazie allo spostamento in massa del presidio fuori da uno dei centri di espulsione della capitale.

L’INIZIO DELLA SCUOLA poteva essere un problema per i manifestanti, perché il cuore di questo movimento è costituito da minorenni e studenti medi. Il permesso di soggiorno per loro è strettamente collegato alla frequentazione scolastica. Un ostacolo che però è stato trasformato in una occasione.

Fatemeh Khavari, una dei portavoce di Ung I Sverige, ha annunciato nella conferenza stampa del 15 agosto lo sciopero nazionale delle scuole svedesi per continuare le proteste anche durante l’inizio dei corsi: «Sono passati 10 giorni. Siamo emozionati da tutto il supporto che abbiamo ricevuto. Si sente che il popolo svedese è con noi, seduto qui su questi gradini. A diffondere i nostri messaggi, a sostenerci quando qualcuno vuole ferirci. Non siamo più soli».

«GRAZIE A VOI il nostro sciopero può continuare. Noi non andiamo a scuola per qualcun altro o per rimanere in Svezia. Noi andiamo a scuola perché vogliamo avere un futuro. Studiando e lottando prendiamo il controllo delle nostre vite, smettendo di essere soggetti passivi e privi di potere. Impariamo come funziona il mondo sia dallo sciopero che attraverso gli studi. Il nostro sciopero dev’essere storico e non ci arrenderemo mai fino a che non cesseranno le deportazioni. La durata di questo sciopero dipende solamente da quanto tempo impiegheranno i politici e l’ufficio immigrazione ad accettare le nostre rivendicazioni. Ora vogliamo annunciare in pubblico il prossimo passo di questo movimento e di quello che vogliamo fare per lottare per i nostri diritti. Lo sciopero non finirà con l’inizio della scuola! Lo scioperò si allargherà, sarà nazionale e sciopereremo in ogni scuola».

«Quelli che da questa piazza andranno nelle scuole – ha continuato Khavari – non ci lasceranno, porteranno lo sciopero con loro, dentro le scuole, seduti sul pavimento. Si tratta di uno sciopero seduto nazionale contro le deportazioni! Medborgarplattsen sarà il cuore della protesta, le scuole le nostre gambe e le nostre braccia. Alla nostra ultima conferenza stampa abbiamo chiesto a tutti i partiti perché non si sono impegnati per garantire l’amnistia. Cosa state aspettando? Perché non siete qui?».

«Siete voi che dovete assumervi la responsabilità delle decisioni politiche che prendete. Fredrik Beijer dell’ufficio immigrazione non ci ha ancora dato alcuna risposta. Siete voi che potete fermare le deportazioni. Perché non lo fate? Tutti i giovani in Svezia sono invitati a sedersi con noi. Così lo sciopero può continuare a crescere. Ora in tutto il paese, domani nel mondo intero».

Il dibattito pubblico interno alla Svezia non è troppo differente da quello italiano. I movimenti xenofobi, le posizioni anti immigrazione e una cattiva informazione hanno spostato a destra l’asticella delle discussioni, nei talk show come in parlamento. Anche il Sap svedese, partito di centro sinistra al governo insieme ai verdi, in questo contesto sta prendendo posizioni analoghe al Pd italiano.

IL PRIMO DATO POSITIVO di tutto ciò è quindi culturale, grazie all’entrata in scena di un diverso discorso politico che rifiuta radicalmente il razzismo istituzionale e allarga lo sciopero dei migranti alla società intera.

In un’arena mediatica in cui la presa di parola dei migranti viene regolarmente oscurata, in cui viene data sempre più visibilità agli ideologi della sostituzione etnica e dell’invasione, il fatto che una mobilitazione del genere prenda con prepotenza spazio nelle televisioni cambia in senso positivo il modo in cui sono distribuite le carte in tavola.

Il secondo aspetto importante è che questa partita va ben oltre i confini nazionali svedesi. Il braccio di ferro tra giovani, studenti e governo, in caso di vittoria, creerebbe un precedente storico che potrebbe avere ripercussioni anche in altri paesi europei.

Nonostante l’età, nessuno meglio di loro poteva condurre questa battaglia: si tratta di persone che vedono in questa protesta l’ultima spiaggia per la loro incolumità, giovani e studenti che qui si stanno giocando il tutto per tutto. Sono passate le prime tre settimane e a le piazze continuano a riempirsi. Inevitabile pensare che il destino di Ung I Sverige sia legato a quello del resto d’Europa.