Sulla testa di Berlusconi Silvio le tegole pre-elettorali piovono una dopo l’altra. La settimana prossima il suo braccio destro di sempre, Marcello Dell’Utri, sarà in Italia. La data precisa del rientro forzato non è ancora stata decisa, ma il ministro della Giustizia libanese al Ayubi, su mandato del governo, ha dato ieri ufficialmente il via libera all’estradizione. Probabilmente entro giovedì prossimo l’uomo che ha materialmente costruito la prima Forza Italia sarà dunque un detenuto comune, anche se probabilmente gli verrà presto concessa una misura alternativa.

Berlusconi non può commentare, stante il divieto di attaccare la magistratura. Infatti si tappa la bocca, fingendo però di tacere solo perché la vicenda è troppo grande: «È una faccenda che non riesco a commentare. Però sono smentiti quelli che dicevano che era andato in Libano per fare il latitante. È intelligente. Avrebbe scelto un paese senza estradizione».

La seconda tegola ha il nome di un altro dirigente che gli è stato vicinissimo, Claudio Scajola. Ieri l’ex ministro è stato interrogato per ben 6 ore nel carcere romano di Regina Coeli. Stavolta non si è avvalso della facoltà di non rispondere, come aveva fatto su consiglio del suo legale nel primo interrogatorio. Le risposte però sono state secretate dal procuratore nazionale antimafia Francesco Curcio e dal pm di Reggio Calabria Lombardo.

La brutta notizia, per Berlusconi, è che la vicenda non sembra affatto avviata verso un rapido chiarimento. Un segnale in questo senso è proprio la decisione di secretare l’interrogatorio. Un altro potrebbero essere le voci di un legame tra la raffica di arresti di ieri in Toscana e a Caserta per camorra e il caso Scajola. Tra i 18 arrestati ci sono infatti anche due poliziotti, uno in servizio alla Camera, l’altro a palazzo Chigi, finiti ai domiciliari con l’accusa di aver passato notizie riservate ai clan campani. Secondo alcune voci, peraltro non verificate, potrebbero esserci collegamenti tra questa inchiesta e quella su Scajola.
Se a questo si somma l’inchiesta sull’Expo, che lambisce da vicino Arcore, risulta evidente che alla prova elettorale si arriverà sotto una tempesta di notizie giudiziarie che toccano tutte il partito azzurro e che certo non agevolano il già difficilissimo tentativo di rimonta. Attualmente, non c’è un solo sondaggio reale che non lo dia sotto il 20%, ma l’esito potrebbe rivelarsi ben più disastroso. Il diretto interessato, reduce ieri dalla seconda giornata di affidamento ai servizi sociali a Cesano Boscone («Per me è una parentesi di tranquillità», giura) reagisce come può. Definisce il caso Expo «un’esagerazione della stampa». Non forza i toni sulle rivelazioni dell’ex segretario al Tesoro Geithner, però insiste sulla richiesta di una commissione d’inchiesta che non ci sarà mai. Gli stessi fratelli separati dell’Ncd, per bocca di Cicchitto, hanno comunicato ieri che per loro «non ce n’è è motivo».

Nonostante l’ennesimo schiaffo, Berlusconi assicura che con l’ex delfino “bisognerà ricongiungersi: i moderati saranno costretti a stare insieme alle prossime elezioni. Se si dividono perdono». L’improvvisa strategia del sorriso con gli alfaniani si spiega in parte con la necessità di rassicurare l’elettorato di centrodestra, ma in parte anche maggiore con la vera strategia su cui punta l’ex onnipotente per dopo le elezioni: entrare nella maggioranza e al governo, portando in dote la richiesta di una riforma costituzionale centrata sull’elezione diretta del premier. Subito, se possibile, oppure dopo elezioni politiche a breve col consultellum, che renderebbero l’intesa tra Renzi e Berlusconi obbligatoria.

Berlusconi, figurarsi, conosce benissimo i sondaggi. Sa che registrano un testa a testa tra Renzi e Grillo il cui esito è incerto ma che molto difficilmente finirà con un vantaggio netto del baby. Sa che, per quanto i commentatori minimizzino, la fine della meteorica ripresa è un guaio immenso per il governo, sul piano dell’immagine e ancor più su quello dei conti. Sa che senza i suoi voti, al Senato, non passa nessuna riforma. E si prepara a presentare il conto di un appoggio che, dopo il 25 maggio, potrebbe diventare questione di vita o di morte.