Un anno di presidenza Trump. 365 giorni assai lunghi per minoranze etniche, donne. giovani e giornalisti che lo detestano. Nella pettegola Washingon la domanda che circola è se l’inquilino della Casa bianca sopravviverà per altri 12 mesi, o se invece l’Fbi se lo porterà via in manette grazie all’inchiesta per le collusioni con i russi al fine di vincere le elezioni del 2016. Naturalmente non succederà: al massimo qualcuno dei suoi collaboratori finirà nei guai per reati minori.

Il vero tema scottante sono invece le elezioni per il Congresso del prossimo 6 novembre, quando i repubblicani rischiano di perdere la maggioranza alla Camera e al Senato, paralizzando la presidenza per i due anni successivi, come accadde ad Obama nel 2010.

L’esito di queste elezioni dipende in gran parte da quanto gli elettori di Trump si mobiliteranno a sostegno dei candidati repubblicani: cosa succederà se i suoi fedelissimi, essenzialmente i maschi bianchi non laureati, cominceranno a dubitare di lui? A 12 mesi dal suo ingresso in carica il muro al confine con il Messico è di là da venire (perfino il suo capo di gabinetto John Kelly, ha detto che non si farà), le polemiche sul razzismo del presidente si intensificano, la politica sull’immigrazione è in mano ai tribunali federali: l’unica cosa che Trump può presentare come bilancio del suo mandato è la riforma fiscale approvata in dicembre, un regalo ai miliardari e alle corporation che non fa nulla per la classe media, oltre a scavare un buco di bilancio di dimensioni colossali. Non sarà poi l’apertura di tutte le coste americane alle trivellazioni petrolifere (con l’eccezione della Florida, dove Trump ha la sua villa sul mare di Mar-a-Lago) a migliorare i salari in Pennsylvania, Wisconsin o in Michigan.

La percentuale di americani che approvano la sua politica era rimasta sorprendentemente stabile attorno al 36%-40%, con piccole oscillazioni, per tutto il 2017, ma adesso Trump mostra segni di logoramento: le promesse non mantenute si pagano. Se, infatti, solo il 3% di quelli che avevano votato per lui si è pentito, il consenso nei suoi confronti ha subito forti emorragie tra gli ispanici (-10%), nel Midwest (-9%), tra i disoccupati (-7%) e tra gli adulti non laureati (-6%) e tra gli indipendenti (-6%). Nel complesso, Trump ha perso consensi in tutti i gruppi sociali e demografici ed è particolarmente debole tra le costituencies che già nel 2016 avevano sostenuto a larga maggioranza Hillary Clinton: i giovani e le donne.

I sondaggi negativi non hanno mai fatto cadere un presidente ma la sua impopolarità ha conseguenze politiche: il partito repubblicano è sulla difensiva, ossessionato dal timore di perdere il controllo della Camera, dove ha 24 seggi di maggioranza su 435, e perfino del Senato, dove ora controlla 51 seggi contro i 49 dei democratici.

Le elezioni per il Congresso a metà del mandato quadriennale di un presidente sono sempre difficili per il partito che detiene la Casa bianca perché l’opposizione si mobilita più efficacemente del partito al potere: nel 2010 e nel 2014 i democratici subirono pesanti perdite sia alla Camera che al Senato malgrado la relativa facilità con cui Obama era stato eletto nel 2008 e nel 2012.

Quest’anno, quindi, i democratici sarebbero favoriti in ogni caso, ma occorre tener conto del fatto che, quando non si vota per il presidente, appena il 35-40% degli americani adulti fa lo sforzo di recarsi ai seggi. Dalla parte dei democratici sta, per ora, un forte entusiasmo e una grande mobilitazione degli elettori, decisi a prendersi la rivincita sulla mai digerita sconfitta del 2016.

I repubblicani sono preoccupati ma hanno dalla loro una geografia del voto che costituisce un ostacolo pesantissimo per i democratici: alla Camera il disegno delle circoscrizioni uninominali, il cosiddetto gerrymandering massimizza le loro prospettive. Si calcola che i democratici dovrebbero ottenere circa il 55%-56% dei suffragi per conquistare il 51% dei seggi. Al Senato la situazione è altrettanto difficile perché si vota in molti stati dove c’è un senatore democratico uscente ma dove Trump ha vinto nel 2016 con percentuali bulgare: Nord Dakota, Montana, West Virginia e altri.

Anche se i democratici migliorassero le loro performance in misura sostanziale, potrebbe non essere sufficiente.  Molto dipende da quanto gli elettori considereranno quelle di novembre delle elezioni «nazionali» e quindi quanto peserà sulla loro scelta l’impopolarità del presidente.

Se il clima politico rimanesse quello attuale per i repubblicani sarebbe un bagno di sangue e perderebbero anche numerosi posti di governatore, importanti in vista delle elezioni del 2020. Se, invece, i cittadini decidessero di ignorare Trump e guardare alle qualità dei candidati locali i democratici probabilmente andrebbero incontro a un’altra delusione e il Congresso resterebbe a maggioranza repubblicana.