Chi si occupa di qualcosa e l’ha a cuore è giusto che guardi con un po’ di scetticismo agli anniversari, occasioni in cui ricordare per un momento le cose per poterle meglio ridimenticare. Però è possibile un buon uso dell’anniversario, se innanzitutto chi ci tiene interroga se stesso su quanto è avvenuto e sulle tracce che ne restano. Ce lo confermano il recente anniversario della prima guerra mondiale, e ora il quarantennale del terremoto nel Friuli. Su entrambi questi eventi traumatici si stanno scoprendo molte cose un po’ accantonate dalla disattenzione della vita al presente.

Il museo di Villa Manin di Passariano (Udine) ha realizzato la mostra Memorie con un utilissimo catalogo pubblicato da Skira. E la mostra è davvero bella, anche se a tratti si lascia prendere dalla forma installazione piuttosto che da un più ragionato allestimento conoscitivo. Le rivelazioni però non mancano, sia nei rimandi ad altri percorsi di visita (andremo al più presto ad Artegna per le meraviglie artistiche ricostruitevi, qui testimoniate in foto) sia per le molteplici opere provenienti soprattutto da Gemona, il luogo più segnato dal terremoto e insieme quello che tuttora contiene più bellezze nascoste e una diffusa presenza di archivi, anche ma non solo di cinema. Basterebbe, nella mostra, la ricostruzione del soffitto della chiesa di San Giovanni Battista a valere la visita. Anche perché segnala come, nella retorica dei successi della ricostruzione, se ne dimenticano troppe défaillance tra cui la mancata ricostruzione di questa chiesa è una delle maggiori: le due foto ravvicinate della vecchia chiesa e dello spazio vuoto odierno in cui si trovava, sono un accostamento davvero traumatico. E vedere insieme tutti i dipinti di Pomponio Amalteo, allievo irregolare del Pordenone (come scrive con competenza Caterina Furlan nel catalogo), rende poco soddisfacente la soluzione ipotizzata di una loro destinazione a uno spazio “qualsiasi” che non sia invece quel luogo ricostruito. Anche nella documentazione esposta dei nuovi edifici talvolta modernizzati con gusto, spicca il trauma dell’odierno smantellamento dell’ospedale di Gemona, unico in Italia costruito con criteri antisismici: la riforma sanitaria che ha deciso di chiuderlo non indica chiaramente una grande sensibilità politica, come troppe volte il Friuli ha dovuto constatare, dal (si parva licet) tradimento del Tocai sull’altare dell’unione europea, alle odierne insofferenze verso l’idea della “patria del Friuli” che non è certo un patriottismo straccione ma è legata a una plurisecolare vicenda storica, e che in epoca fascista Chino Ermacora ha saputo difendere come “piccola patria” oltre la retorica della patria unica, mentre in seguito un’altra grande figura di cui ricorre l’anniversario, il gemonese Giuseppe Marchetti, ha raccolto in un’attività molteplice, divenendo una delle grandi figure di cui il territorio è ricco: come il geologo e politico Michele Gortani, la scrittrice Novella Cantarutti, l’etnografo Gaetano Perusini e con essi Pier Paolo Pasolini.

Forse la mostra di Villa Manin doveva meglio raccogliere la disseminazione di archivi sul territorio,

che collegano la vicenda del terremoto ad alcune di queste figure. In particolare la Cineteca del Friuli, che sta giustamente divenendo anche un archivio di intrecci culturali e artistici col cinema, ha costituito un fondo dedicato al carnico Siro Angeli, poeta, autore di teatro, narratore tra i maggiori da riscoprire, nonché pluriennale amico e collaboratore di Vittorio Cottafavi e, si scopre su segnalazione di Grazia Levi, autore di una trasmissione radiofonica sul terremoto. Purtroppo nella mostra i documenti video sono un po’ troppo anonimizzati, non cercano il filo degli interventi umani, né negli ottimi servizi che realizzarono giornalisti RAI come Edek Osser e Bruno Vespa, né in opere di cineasti da Gianni Menon (autore di un film sulla ricostruzione di Gemona) a Rodolfo Bisatti (che esordì con un film su Venzone), entrambi peraltro apolidi triestini, passando inoltre per il veneto Giuseppe Taffarel e il friulano Lauro Pittini. Dare un nome è sempre un grande valore nel trattare le immagini, sia esso il nome di chi vi appare come quello di chi le ha realizzate. Si rischia altrimenti quel trattamento troppo a ridosso della distruzione nell’anonimato anche geografico (come purtroppo in La terra trema di Martone e Quadri) che è l’inverso di ciò che seppero fare i grandi tragici del cinema italiano, autori di immagini di distruzioni che possono ben evocarle tutte: pensiamo a Luca Comerio e Augusto Genina, e menzioniamo qui due autori cui la Cineteca di Gemona riserva fondi e iniziative. A ribadire come la vicenda del terremoto nel Friuli del 1976 abbia saputo parlare al mondo, raccogliendo per esempio una donazione di artisti americani che è divenuta una ricchezza imprevista del territorio (e la mostra giustamente la accoglie), nello stesso momento in cui l’archivista palestinese-genovese Angelo Raja Humouda ha guidato Livio Jacob e Piera Patat (e tutti noi) a scoprire Griffith. Da ciò è nata La Cineteca del Friuli a Gemona, e poi Le Giornate del cinema muto a Pordenone. Oggi Giulio Calderini, il grafico che con Carmen Marchese crea gli splendidi manifesti delle Giornate, ha avviato un progetto video, Gemona magica, che si candida a un premio Disney o Spielberg con la sua capacità di creare immagini di meraviglia sulle tracce fotografiche di un territorio violentato. Ulteriore notazione internazionale della vicenda è il fatto che la Cineteca di Gemona contenga una delle più notevoli collezioni sui Kennedy. E qui il pensiero va spontaneamente al film di Zapruder che inconsapevolmente documentò l’uccisione: anche la vicenda del terremoto ha avuto degli Zapruder, in quei cineamatori che filmarono le ultime immagini del prima e quelle del durante e dell’immediato dopo; c’è anche un documento sonoro di un ragazzo che riversando i Pink Floyd incise la prima scossa (comprimendo in un certo senso tutto l’Antonioni di Zabriskie Point con la sua apocalisse finale), mentre un film di Enrico Mengotti coniuga documento e finzione come in Giuseppe Maria Scotese.

Inevitabile rinviare ai due preziosi dvd editi dalla Cineteca, Gemona prima del 6 maggio 1976 e 6 maggio 1976 il terremoto in Friuli (con i booklet di Mauro Vale e Carlo Gaberscek). Pur non contenendo ancora tutto ciò che merita riproposta, vi si trovano meraviglie come la ripresa militare del bombardamento alleato nel 1945, i carnevali degli anni ’50 ripresi da Antonio Antonelli, il film di Paolo Jacob sull’ultima manifestazione politica prima del terremoto, e il magnifico documentario Un terremoto per tutti realizzato dalla Diocesi di Udine, che è tra le più significative tracce cinematografiche della Chiesa di Paolo VI, degne di essere riscoperte da quella di Francesco. L’inevitabile dialogare anche conflittuale con le istituzioni indica un percorso parallelo rispetto alle vicende di violenza sociale che sommersero l’Italia negli anni successivi. Vedere oggi queste immagini, oltre al rinvenirvi presenze umane che costantemente convincono con la loro presenza sobria, vera, consapevole della tragicità e della responsabilità richiesta senza mai scadere nel lamento e nell’enfasi, può inoltre rivelare momenti iconici come quello che vede nel bel documentario di Giulio Mauri e Valeria Bombaci (Jacob è giustamente fiero che la Cineteca abbia raccolto la produzione del loro Centro di Cinematografia Sociale, tutto fuorché un carrozzone istituzionale) il trasporto di uno splendido dipinto dissepolto attraverso le rovine: immagine che nel modo migliore potrebbe sintetizzare anche la mostra di Villa Manin, segnalando nei dipinti la compresenza di bellezza fragile e specchio intangibile, come ben capì il grande sottovalutato Frankenheimer in Il treno. Anche per gli “ultimi” della società che ne mancano l’incontro la pittura reca tracce dei loro corpi svaniti, di cui il cinema esige la salvezza.