Il romanzo di Francesca d’Aloja (Cuore, sopporta, Mondadori, pp. 252, euro 19) narra la vita ordinaria di una famiglia, della protagonista, dei personaggi che, come accade nella realtà, compaiono magari sul posto di lavoro o grazie ad amicizie condivise, ma poi si diradano e smettiamo improvvisamente di incontrarli. Solo che la vita ordinaria, come scriveva il compianto Stanley Cavell, ha qualcosa di sconcertante. Per questo succede che nelle parabole meno originali di un innamoramento, di una convivenza, persino di un tradimento, si nascondano possibilità magiche e di rinascita che, quelle no, non sono prevedibili.

IL ROMANZO di d’Aloja ci racconta uno di questi casi e lo fa con dovizia di particolari, permettendoci di entrare nelle scene banali di vite che si delineano senza nessuna caratteristica di rilievo: due sorelle figlie di una famiglia benestante, che vivono a Roma e hanno una casa in Maremma, in uno di quei posti che si vede dalla strada quando dalla Toscana si scende a sud. Quei boschi in riva al mare che si chiamano pinete e che invece loro, sì, destano meraviglia. Due sorelle, si diceva, di carattere molto diverso fra loro, come può accadere: una ordinata, l’altra caotica, una con uno spiccato senso del dovere e l’altra con un istinto irresistibile a fuggire da qualsiasi cosa possa trattenerla o darle un’identità fissa. Una che sa amare e l’altra che dovrà imparare a farlo e il percorso non può che essere lungo e molto doloroso.

CIÒ CHE COLPISCE nel romanzo di d’Aloja è che, seppure ci presenti una storia ordinaria, a prevalere è il senso del mistero. Infatti, le vicende di Adele, Giulia, Nina sono assurde, ma non è questo a renderle eccezionali, perché cose davvero assurde succedono spesso nella vita di molti.

L’AUTRICE piuttosto che raccontare un’accettazione riparatrice e pacificata dell’inspiegabile, ha preferito far vincere l’elemento del magico. Forse condotta dal sapiente intreccio delle storie che si allontanano nelle sezioni del romanzo per poi riavvicinarsi in una danza che non perde mai il ritmo, che arriva al limite dell’inciampo, ma resta in piedi, o magari perché d’Aloja si è arresa a un’aritmetica dell’inspiegabile che esiste potente e ad essa ha affidato parte della trama. Il titolo di sicuro già ci dà degli indizi: Cuore sopporta, che nell’Odissea da cui è tratto è un’esortazione, ma può essere anche un dato di fatto, un’asserzione. Il cuore di ognuno sopporta dei dolori che per altri sarebbero insostenibili oppure cede di fronte agli ostacoli più ridicoli.