«Enrico Mattei, perdonali perché non sanno quello che fanno». E chi lo doveva dire che pure loro, i dipendenti della prima azienda italiana, dovevano finire in piazza: tre scioperi nell’arco di due mesi, una manifestazione a Roma, cose mai viste. Sì, perché il cane a sei zampe si è fatto inquieto, e allora per scaramanzia non si possono che rievocare i “grandi padri”, come Mattei appunto. Perché Matteo (Renzi) da questo orecchio non ci sente, e neppure i nuovi capi, dalla presidente Marcegaglia all’ad Descalzi: i lavoratori di Eni, Saipem, Versalis non ci stanno a vedersi sparire il proprio gruppo (e tanti gioielli dell’industria nostrana) sotto i piedi, e così ieri da piazza Santi Apostoli, in 3 mila, hanno detto «no alle dismissioni».

Gela, Porto Marghera, Porto Torres, Priolo, Ravenna: ciascun pezzettino della multinazionale dell’energia ieri ha voluto dire la sua, con folte delegazioni, portando bandiere e striscioni in piazza insieme a Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil. Si chiedono investimenti sui principali petrolchimici e sulle raffinerie, non solo perché si possa intravedere uno sviluppo certo e una permanenza in Italia dell’industria petrolifera, ma anche per completare il cammino verso il green. Gela, con i suoi blocchi e le proteste degli ultimi mesi, è l’esempio principe degli sforzi chiesti all’Eni e al governo.

Ma il faro più potente si è acceso in questi giorni su Versalis, ramo chimico del colosso energetico – con 4 mila dipendenti e 2 mila nell’indotto – perché il colosso petrolifero vuole cedere il 70%. A un soggetto, la Sk, che secondo i sindacati non può assicurare uno sviluppo certo, né gli 1,2 miliardi di euro necessari per la completa riconversione al «verde».

Sk è un fondo di investimenti Usa: il timore è che non punti a valorizzare i suoi “gioielli” sul piano industriale, ma che possa cederli quando servirà fare cassa.

Emilio Miceli, segretario della Filctem Cgil, ha spiegato efficacemente le perplessità del sindacato dal palco: «Eni – ha detto – sta affrontando nel peggiore dei modi la cessione di Versalis, rivolgendosi a una partnership, SK Capital, poco affidabile, piccola, costellata da una miriade di società con zero dipendenti, di recentissima costituzione (2009), con sede alle Cayman. Ma che c’entra la gente che lavora con i paradisi fiscali? Versalis non è solo un’azienda, è la chimica italiana e non può essere venduta a chicchessia». In effetti Versalis non fa solo produzione, ma eccelle nel campo degli studi e dell’innovazione: ha 4 centri ricerca e 250 brevetti al suo attivo.

La segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, dal palco ha chiesto «quale idea di politica industriale abbia il governo». «Noi per il momento non ne vediamo nessuna – ha aggiunto – visto che si lascia fare tutto senza mai intervenire: si permette che si svendano al primo che passa i gioielli industriali italiani».

«Mattei si sta rivoltando nella tomba», ha osservato con l’ironia che lo contraddistingue Carmelo Barbagallo, segretario generale Uil. Ma la faccenda, aggiunge subito dopo, è seria: «Non possiamo rassegnarci di fronte alla svendita della chimica italiana».

Gli fa eco Paolo Pirani, segretario della Uiltec Uil: «Servirebbero investimenti per oltre 1 miliardo di euro per completare la trasformazione in green. Eni deve mantenere le sue basi in Italia e il governo deve svolgere un ruolo attivo. Alcuni stabilimenti appartengono al patrimonio italiano, penso al centro di Novara dove lavorò il premio Nobel Giulio Natta».

Giuseppe Farina, segretario confederale Cisl, si dice preoccupato perché «sono in gioco non solo il futuro di Versalis e quello del suo indotto ma l’intera filiera produttiva del Paese».
Sull’adesione allo sciopero di 8 ore è guerra di cifre: il 90% secondo i sindacati, fatti salvi gli operai che dovevano vigilare sulla sicurezza degli stabilimenti. Il 35% secondo Eni. Che ha diramato un comunicato sulla protesta.

«Eni – scrive il gruppo dell’energia – intende continuare a sviluppare la chimica in Italia attraverso la ricerca di un partner con un progetto di finanziamento definito, in grado di consolidare l’importante piano di trasformazione di Versalis, che ha consentito di riportare il comparto di business, in forte perdita da anni, a registrare risultati positivi già a partire dai primi 9 mesi del 2015».

La società intende mantenere – conclude la multinazionale – «una partecipazione significativa in Versalis, a garanzia della concreta realizzazione degli obiettivi già definiti nei precedenti incontri istituzionali: la conferma del piano di investimenti, il mantenimento del perimetro industriale per almeno cinque anni, il mantenimento dei livelli occupazionali per almeno tre anni e la conferma della società italiana con sede in Italia».