Il consiglio dei ministri è convocato per le 15. Ieri il ministro dell’Economia Padoan, prima da solo, poi in con Matteo Renzi, ha limato e stirato la coperta sino all’ultimo. E’ probabile che il defatigante sforzo non sia bastato e che la manovra non verrà licenziata nella sua versione definitiva neppure oggi. Bisognerà attendere il 20 ottobre, ultima data valida per inviare il testo al Parlamento. Ma anche quello, si sa, è un termine ultimo per modo di dire. La manovra definitiva arriverà, come sempre, poco prima del voto finale.

Il grosso però va fatto subito e deve essere immediatamente chiaro che il governo intende distribuire a pioggia. Il referendum incombe. I voti costano. Il debito arriverà al 2,3%, o forse al 2,4%. E’ necessario per gli investimenti, informa sussiegoso il ministro per le Attività produttive Calenda. Le opposizioni da destra come da sinistra, la vedono in altro modo. «Regali di Natale», per la forzista Gardini. «Più che un referendum sembra la befana», concorda la capogruppo di Si al Senato Loredana De Petris, secondo la quale però i pacchetti di Renzi si riveleranno pieni solo di carbone: «Finti regali per spingere a votare Sì». La bocciatura più feroce viene dall’interno del Pd, dall’ex ministro dell’Economia Vincenzo Visco: «Solo propaganda e interventi a pioggia inutili».

Inutili? Dipende dai punti di vista. Quello di Renzi è il punto di vista di chi deve vincere il referendum, spera di riuscirci dando agli italiani un’illusione di miglioramento, è pronto a sfidare tutto il mondo – a partire dall’Ufficio parlamentare di bilancio che non ha validato la manovra – pur di farlo, e tuttavia deve comunque fare i conti con una coperta cortissima e dunque ricorrere a un bel po’ d’illusionismo.

L’intervento sulle pensioni è l’esempio perfetto. La platea che accederà all’Ape, l’anticipo pensionistico, è stata ridotta al massimo, e rischia anche di essere punta: per ogni anno di anticipo un taglio del 5%. La riforma Fornero non verrà neppure scalfita ma poco male, quel che conta è l’effetto annuncio. Ma in materia di effettacci nulla compete con la promessa di chiudere l’odiatissima Equitalia, per sostituirla con una non meglio specificata «agenzia». La materia non c’azzecca col bilancio e dunque dovrà essere rinviata a un collegato o a legge da destinarsi. Ma il vero limite è un altro e lo denuncia l’ex ministro Visco: «Con Equitalia o con un’altra agenzia non cambia niente». La misura fiscale più concreta sarà l’abolizione dell’Irpef sulla produzione agricola, promessa anche ieri da Renzi. Il gettito incide poco, quindi dovrebbe essere a portata di mano. Però quando il presidente della Coldiretti, alla presenza di Renzi, ha onorato la sua parte del contratto invitando a votare Sì al referendum, la platea, Irpef o non Irpef, lo ha sonoramente fischiato.

Il pezzo forte sono le 10mila assunzioni promesse dal premier nella pubblica amministrazione, tra poliziotti, infermieri e forse medici. Sarebbe comunque una buona notizia se non fosse più che controbilanciata dal taglio alla Sanità che servirà a finanziarla. Il governo lo presenta come un «minor aumento» e non come un taglio, ma è solo un gioco di prestigio. Non solo entreranno in azione le forbici, ma lavoreranno a fondo asportando il 50% delle risorse già annunciate: da 2 miliardi a uno solo. Dopo il saccheggio della medicina preventiva degli anni scorsi in nome della «lotta agli sprechi» se non sarà proprio il colpo di grazia ci andrà vicino.

Il capitolo famiglie è ancora da definirsi, ma sarà folto sia perché è il cavallo di battaglia dei soci centristi di maggioranza sia perché le teste d’uovo capitanate dal guru Jim Messina hanno concluso che puntare sui «ragazzi» è il modo migliore per attrarre verso il Sì genitori o aspiranti tali: sgravi per le famiglie disagiate ma non povere, assegni per gli asili nido slegati dalla rinuncia delle madri al congedo parentale, bonus bebè e, naturalmente, conferma del bonus spese culturali per i 18enni, nonostante sia di comprovata inutilità.

In conclusione, una manovra che è esattamente quello che ci si aspettava: finalizzata al referendum e a null’altro. L’Europa la approverà a bocca storta perché altro non può fare. Ma che gli elettori ci caschino è tutto da vedersi.