Il braccio di ferro prosegue al coperto di un copione che si ripete ormai identico da giorni. Affondi dei leader di maggioranza, soprattutto di Luigi Di Maio, contro il ministro Tria, seguiti subito da apparenti retromarce rassicuranti. Nessuno mette nel conto le sue dimissioni, però… In realtà a parlare di dimissioni, anche ieri dopo l’affondo di Di Maio, sarebbe stato proprio il ministro ma anche questo ormai è repertorio. Una crisi provocata dal passo indietro di Tria è quanto di più lontano dalle intenzioni di Sergio Mattarella, al cui richiamo la truppa a cinque stelle, comunque, ha abbassato ieri il tiro, smettendo di bersagliare il responsabile di via XX settembre per concentrare le minacce di interventi futuri sui suoi apparati tecnici.

MA QUESTA, se mai ci si arriverà, è storia di domani. Quella di oggi è una manovra nella quale saranno certamente presenti il reddito di cittadinanza, come ha confermato ieri lo stesso premier Conte in una delle sue rarissime comparsate, l’avvio della Flat Tax e soprattutto la revisione della Fornero. I due vicepremier, intervistati martedì nel talk di Floris, lo hanno garantito con tanta sicurezza da rendere difficile l’arretramento, anche se all’interno di quelle voci c’è poi un ampio margine di manovra. Che però implica comunque lo sfondamento di quel deficit all’1,6% che resta fisso nei conti del Tesoro. «Vuol dire non fare quasi niente», taglia corto la viceministra dell’Economia Castelli. «Bisogna ricorrere un po’ al debito per poi farlo rientrare l’anno seguente o nell’arco di due anni grazie agli effetti della manovra», insiste Di Maio assicurando solo, come aveva già fatto Salvini in tv, che una garanzia alla Ue e ai mercati può già essere offerta: «Non sfonderemo comunque il tetto del 3%».

Più che un impegno rassicurante sono parole dal sapore di beffa, essendo sia Salvini che Di Maio consapevoli di quanto anche solo avvicinandosi un po’ a quel tetto oltrepasserebbero la linea rossa di Tria, della Ue e della Bce.

Ma per Salvini la decisione di procedere comunque sulla Fornero è definitiva. Anzi, nel gioco delle parti tra i due vicepremier, ieri il ruolo del duro lo ha incarnato lui. A chi gli chiede se Tria possa «dormire sonni tranquilli» risponde sardonico: «Gli italiani possono dormire sonni tranquilli», ed è evidente che dal suo punto di vista i «sogni d’oro» degli italiani sono incubi per il ministro.

I CONTI PER LA REVISIONE della Fornero sono però ancora ballerini. Sull’età minima per accedere alla «quota 100» i tecnici del Carroccio sono ormai attestati saldamente sui 62 anni. Gli inizialmente previsti 64 scalfirebbero appena la Fornero e rischiare tanto per così poco non vale la candela. Sugli anni di contributi versati invece regna l’incertezza. C’è chi vorrebbe farli scendere sino a 35, con 65 anni d’età, e chi pensa che arrivare a 36-37 sia il massimo praticabile. Ma il vero problema sono i «paletti», come la probabile esclusione dei contributi figurativi o la sorte dell’ape social. Particolari dalla cui definizione dipende buona parte della sostanza della revisione della Fornero.

Intanto cresce il budget chiesto dai due partiti a via XX settembre che al momento si aggirerebbe intorno ai 9 mld per ciascuno. Ma le riforme di battaglia non dovrebbero calamitarli tutti. Perché se è vero che quelle sono e resteranno le priorità è anche vero che su alcuni capitoli di altra natura, in particolare l’abbassamento dei superticket nella sanità, né la ministra Grillo né i parlamentari M5S intendono mollare. Richieste che, se accolte, renderebbero quell’1,6% di deficit una chimera.

A RENDERE PIÙ SURREALE la situazione c’è la levata di scudi del Pd ma ancor di più di Fi a difesa di Tria. Tanto corale e rumorosa da suscitare l’impressione di un ministro espresso dalle opposizioni unite e finito chissà come in mezzo alla squadra gialloverde. Mentre a Roma la situazione diventa di ora in ora più confusa, il convitato di pietra, la commissione europea, resta per ora a guardare. «Siamo rilassati. Aspettiamo le proposte nella prima metà di ottobre. Poi le analizzeremo», commenta laconico il commissario Oettinger. Il momento della verità sui rapporti con Bruxelles sarà quello.