«Oggi sono passati 32 mesi. Ci manca di trovare il motivo per cui ci hanno portato via Giulio». Claudio Regeni, mercoledì dal palco del Teatro India, ha riassunto in poche parole il dolore privato e pubblico dell’assenza di giustizia. In una tiepida serata romana erano in tanti all’evento di conclusione della ciclostaffetta partita dal Friuli e arrivata mercoledì mattina nella capitale: cittadini, giovani, artisti, il collettivo ’Giulio Siamo Noi’. In mano una rosa gialla, in bocca la stessa parola: verità. L’hanno chiesta i genitori di Giulio, l’hanno ribadita l’avvocata Ballerini e il senatore Luigi Manconi, l’hanno recitata Pif e Valerio Mastandrea, l’hanno cantata Simone Cristicchi e Roy Paci. «Il motivo per cui non siamo tanto contenti: è un anno che è stato mandato giù l’ambasciatore Cantini. Il suo mandato era verità per Giulio Regeni. Ancora non c’è. È tempo che si tirino fuori delle cose, non vogliamo mezze verità», ha detto la madre Paola in apertura di una serata che segue a mesi di andirivieni dal Cairo di ministri e vicepremier senza che nessuno abbia davvero messo sul tavolo giustizia per l’uccisione del giovane ricercatore.

AL TEATRO INDIA c’era un’Italia diversa da quella governativa e della ragion di Stato. A loro la famiglia Regeni ha detto grazie, al giallo ormai presente ovunque – come ricordato sul palco da Mastandrea – nelle piazze, i balconi, i comuni che fanno della morte di Giulio una questione collettiva, universale, di lotta alla tortura e ai regimi dovunque essa sia esercitata o questi si trovino.

POCHE ORE prima una delegazione era stata ricevuta al Quirinale dal presidente della Repubblica Mattarella e alla Camera dei Deputati dal presidente Fico. Due voci altre rispetto al ritornello di Stato ripetuto da due anni e mezzo dai rappresentanti di due governi diversi. È a loro che la famiglia si è rivolta, a Mattarella che hanno consegnato una lettera, pubblicata ieri su la Repubblica, in cui hanno ricordato la generosità sua e dei cittadini italiani, «la migliore Italia che oggi ha pedalato fin qui». «Ma non possiamo fermarci. Abbiamo bisogno, dopo tanta attesa e tante oltraggiose menzogne, che alle parole si aggiungano i fatti. È un’esigenza corale, non una faccenda privata. Lei, che più di tutti ha a cuore la dignità di questo paese, dia voce a questa nostra richiesta e restituisca fiducia e onore a tutti i nostri concittadini».

NON SOLO A LORO, ma come viene ripetuto da 32 mesi all’intero popolo egiziano vittima dell’identico regime che ha preso Giulio e che da oltre cinque anni lo soffoca per l’atavica paura che si sollevi ancora: «La ricerca della verità per Giulio – scrivono – diventi un impegno per la tutela dei diritti umani come segno esempleare della serietà e l’intransigenza del nostro paese». Una intransigenza che dovrebbe condurre Roma a interrompere le relazioni con chi viola i diritti umani invece di ingrassarlo per ingrassarsi, come accade in Yemen con le bombe italiane sganciate dai sauditi o al Cairo con contratti commerciali milionari.