Mentre oltre 700mila rohingya stazionano da ormai un anno in Bangladesh cacciati dal Myanmar e mentre il governo birmano ha rispedito al mittente il rapporto indipendente dell’Onu che accusa i suoi generali di genocidio e il governo civile di colpevole silenzio, i funzionari di Tatmadaw – le forze armate – hanno fabbricato la loro versione dei fatti. Una versione così falsa da sembrare ingenua.

VERSIONE DIFFUSA per la verità già in luglio in uno dei pamphlet che l’esercito – Myanmar Politics and the Tatmadaw: Part I- ha deciso di utilizzare come materiale di propaganda per spiegare la sua verità sui Rohingya, la minoranza musulmana espulsa dal Paese. Ma un esame dell’agenzia Reuters su alcune immagini veicolate nel volume spiega bene come si fabbricano verità su misura: si tratta di tre fotografie, scattate in altri tempi e contesti, che servirebbero a spiegare sia la crudeltà dei rohingya verso i birmani, sia il fatto che si tratta di immigrati bengalesi e non di gente che vive – in molti casi da secoli – nello Stato (oggi) birmano del Rakhine.

LA BRUTALITÀ DEI ROHINGYA sarebbe documentata da uno scatto che si riferirebbe a incidenti avvenuti nel 1940: nella foto si vede un uomo con un bastone che tocca dei corpi di gente uccisa e riversa in un lago. Ma quell’immagine, spiega Reuters, si riferisce alla guerra del 1971 che decretò la fine del Pakistan orientale e la nascita del Bangladesh. La foto mostra un inequivocabile musulmano che tocca i corpi forse di due fedeli buddisti. E qui la fabbrica della menzogna non ha avuto bisogno di ritoccare se non la data. Di ben trent’anni.

NELLA ALTRE DUE IMMAGINI la falsificazione è dilettantesca: sono due scatti in bianco e nero che mostrano una massa di persone in movimento sia una nave carica di gente. Le didascalie in divisa sostengono che si tratta della prova dell’invasione compiuta dai bengalesi che si insinuano in Myanmar provenienti da Ovest. Ma la prima è una foto di ruandesi in fuga verso la Tanzania nel 1996 all’epoca del genocidio. La foto originale (a colori) vinse persino un premio. In bianco e nero diventa la prova dell’immigrazione clandestina dei bengalesi. La terza foto è quella di una barca stracolma di rohingya che cercano di fuggire dal Myanmar. È uno scatto del 2015 di Getty: documenta una fuga che, nella didascalia « militare», è invece un arrivo di massa. Tutto questo avviene con un governo civile e democraticamente eletto che non solo non prende posizione ma si schiera con Tatmadaw. Così qualche giorno fa, appena dopo l’uscita del dossier Onu per l’istituzione di un tribunale che indaghi i generali birmani su un caso di genocidio, l’Alto commissario per diritti umani Zeid Raad al-Hussein, parlando di Aung San Suu Kyi, ha detto che la Nobel avrebbe potuto dimettersi. Almeno un atto formale che viene invece compensato dalle foto di rito – quelle sì vere – a braccetto con i militari.