Lo stato deplorevole del sistema sanitario russo è una verità inoppugnabile o un mito frutto di una visione stereotipata della della situazione della salute nella Federazione? Forse entrambe le cose.

Il sistema sanitario come tutto il resto del sistema economico russo continua a pencolare da decenni tra residui più o meno efficienti dell’universo sovietico e un liberismo estremo all’interno del quale lo Stato ha cercato di dare impulso a una modernizzazione spesso caotica e a macchia di leopardo. Anche i dati statistici macroeconomici sembrano corroborare questa ipotesi.

Nel 2019 la legge di bilancio ha previsto poco più di 7.300 miliardi di rubli per la spesa sanitaria, circa 100 miliardi di euro. Un investimento dell’8.9% rispetto al Pil nazionale che risulta ancora modesto se si confronta alla media degli Stati della Ue (15%) ma in costante aumento in questi ultimi anni. Del resto leggendo questi numeri si deve anche tenere conto della situazione che in questo settore trovò Vladimir Putin quando arrivò alla presidenza nel 2000. Ancora nel 2006 per la sanità si spendevano in Russia solo 1.475 miliardi di rubli e per tutti gli anni dieci del XXI secolo la spesa sanitaria è oscillata intorno ai 4.500 miliardi di rubli (poco sopra del 5% in relazione al Pil) per poi crescere significativamente lo scorso anno, sotto forte impulso dei cosiddetti «progetti nazionali».

Un dato positivo menomato però dallo stretto legame imposto da Putin alla crescita dei programmi sociali che «potrà avvenire sono se ci sarà una forte crescita economica» (Conferenza stampa di fine anno 2018). Un modello rigorista e neoliberale secondo la quale il welfare deve rappresentare una variabile dipendente dalla crescita del Pil. Questo approccio, come ha fatto notare Evgeny Gontmacher vice-direttore delle opere scientifiche dell’istituto di economia mondiale di Mosca, è stato favorito dalla scarsa coscienza del popolo russo dell’importanza della difesa delle proprie condizioni di salute: «Non abbiamo ancora formato un atteggiamento corretto nei confronti della nostra salute. La nostra società non sa cosa vuole da se stessa e dal nostro sistema sanitario» sostiene Gentmacher.

Si tratta di un aspetto fortemente legato alla crisi demografica del paese. Alla fine dell’era della perestrojka l’aspettativa di vita in Russia era di 68,8 anni ma dopo le privatizzazioni eltisianane crollò a 65,4.

Il boom economico dei primi anni 2000 produsse un miglioramento della nutrizione e ridusse lo stress mentre finalmente si aprirono policlinici all’altezza delle necessità, portando l’asticella dell’aspettativa di vita oltre i 71 anni. Tuttavia i maschi nati nell’epoca di Eltsin entrano solo ora nell’età fertile e stanno facendo girare nuovamente la ruota all’indietro: nei 2 ultimi anni la popolazione russa in termini assoluti si è ridotta, aprendo la strada a una nuova contrazione dell’aspettativa di vita.

«Un’ulteriore dimostrazione che nel paese non è necessario impedire la liberazione omosessuale e di stili di vita “non conformi” come spesso ci si vuole far credere, ma programmi a lungo termine per migliorare il sistema sanitario e la qualità della vita» afferma Alexey Gusev docente di storia russa all’università di Mosca. Tanto è vero che la stessa piaga dell’alcoolismo – ricorda ancora Gusev – si è ridotta nelle grandi città del paese dove il tenore di vita è più alto ma anche dove le strutture sanitarie sono più efficienti. L’esplosione del settore privato della sanità, in questo quadro, ha finito per giocare un ruolo relativamente progressivo nel miglioramento dei servizi a fronte del peso insostenibile della corruzione nel settore pubblico dove i servizi si dimostrano spesso non solo peggiori ma persino più costosi del settore privato (pur restati formalmente gratuiti).

Ma la liberalizzazione del sistema ha portato con sé anche frutti molto amari. Se si prendono in esame le statistiche, il numero dei dottori continua a contrarsi.

Nel 2019 erano in attività solo 548 mila medici nel paese (150 mila in meno di 10 anni fa).

Essendo tradizionalmente bassi i loro salari, continua la fuga dalla laurea in medicina, mentre i neo-dottori tendono a concentrarsi nelle regioni dove si viene pagati meglio. Così se a Mosca dove in media un medico di base guadagna 49 mila rubli al mese (800 euro) lo scorso anno i camici bianchi sono aumentati del 3,7%, nella regione di Murmonsk dove per la stessa qualifica si raggiunge a stento i 20 mila rubli il loro numero si è contratto del 3,5%.