Alpinismo, scienza e socialismo. È il trittico che sorregge l’appassionato ritratto della borghesia pavese di fine Ottocento tratteggiato da Paolo Mazzarello nel suo ultimo libro, L’inferno sulla vetta (uscito per la collana «Passaggi» della casa editrice Bompiani, pp. 288, euro 14).
Il racconto è ricostruito sulla base di un ampio studio delle fonti d’epoca – documenti dall’Archivio storico dell’Università di Pavia, articoli di giornale e riviste – ma si legge come un romanzo. Invertendo i fattori, siamo di fronte a un testo letterario, scritto da uno storico della medicina, in grado di portare alla luce uno spaccato suggestivo di storia della cultura italiana.

LA VICENDA si snoda attorno alle biografie dei due fratelli Zoja, Jello (Raffaello) e il più giovane Alfonso, figli del famoso anatomista Giovanni Zoja, amico e collaboratore di Cesare Lombroso. La duplice cornice è composta, da un lato, da Pavia e dalla sua prestigiosa università a pochi anni dal passaggio di secolo, e dall’altro dalle vette del monte Gridone nei pressi del Lago Maggiore.
La montagna e l’accademia vanno a braccetto perché sono due facce della stessa medaglia, cioè dello stesso desiderio di ricerca e di scoperta. «Salire in alto voleva anche dire scendere in profondità dentro se stessi, avvicinarsi al mistero della natura che la scienza, anno dopo anno, cercava di svelare, riducendo progressivamente i confini dell’ignoto».
Non potrebbe essere diversamente, del resto, per il giovane Jello, che già da studente aveva mostrato di possedere una passione irrefrenabile per la vita, mista evidentemente a una forte ambizione. Che abbia talento lo mostrano con chiarezza i risultati ottenuti nel campo della biologia, e più precisamente dello studio del sistema nervoso dei molluschi nel più ampio settore di ricerca sul sistema cellulare.
Come ricorda il narratore, «era il periodo in cui lo studio dell’anatomia umana e animale aveva effetti dirompenti sulla stessa concezione dell’uomo. La crescita delle forme biologiche, la loro similitudine, poneva all’ordine del giorno la continuità di tutti gli esseri viventi».
In questo contesto si spiega anche la ricezione, nell’ateneo pavese, delle teorie di Darwin, teorie alle quali viene data anche un’immediata lettura politica. Se, come scrive Mazzarello, «era la stessa scienza che prometteva di incidere sul progresso umano, diminuendo con la sua razionalità le ingiustizie, la sofferenza della popolazione», allora si capisce perché per i due fratelli Zoja il socialismo non potesse che essere scientifico.

I PASSAGGI dedicati alla militanza nel Circolo di studi sociali e, a partire dal settembre 1890, attraverso la collaborazione al foglio periodico «La Plebe» sono dense di episodi di vita vissuta, ma entrano anche nel merito del dibattito dell’epoca, nei conflitti derivanti dalla scelta socialista per una gioventù radicata nella buona borghesia accademica.
Scaturiscono da qui anche i dissapori con il rettore Camillo Golgi, futuro premio Nobel per la Medicina, che ostacola la carriera dello Jello. La vicenda sembra restituirci nel suo complesso l’immagine di una borghesia che non arriva mai alla spaccatura e che proprio nel momento della tragedia ritrova la sua unità più profonda. L’avventura in montagna si conclude infatti nel lutto, nonostante la guida esperta di quel Filippo De Filippi, scalatore che avrebbe raggiunto la fama internazionale, la cui biografia ha condotto il nostro autore a conoscere e a ricostruire questa storia emblematica di fine secolo.