Il capo delle Forze armate Abdel Fattah Sisi ha assicurato che in Egitto «c’è posto per tutti», determinando l’immediata cancellazione di gran parte delle manifestazioni dei pro-Morsi. Tuttavia, poche ore prima, il premier Hazem Beblawi e il ministro della Solidarietà sociale Ahmed el-Borai avevano dichiarato che avrebbero proposto lo scioglimento della Fratellanza come partito politico e organizzazione non governativa. Questa mossa potrebbe essere un tentativo per spingere gli islamisti a fermare le mobilitazioni in cambio della permanenza nella partecipazione politica. Per 80 anni, i regimi che si sono susseguiti fino alla dura repressione voluta da Hosni Mubarak hanno impedito la partecipazione politica dei Fratelli musulmani non concedendo il permesso per la formazione di un partito politico legale, ma permettendo solo la partecipazione di candidati indipendenti alle elezioni parlamentari. A questo punto se la Fratellanza dovesse tornare in clandestinità la maggior parte dei leader verrebbero costretti all’esilio o rimarrebbero in carcere.

Prima di tutto, un’eventuale esclusione politica del movimento che ha vinto le elezioni parlamentari e presidenziali, può riportare l’Egitto agli anni Ottanta, quando una spirale di terrorismo ha sconvolto il paese, a partire dall’assassinio dell’ex presidente Anwar al-Sadat. In che modo questo atteggiamento accresce il rischio del vero terrorismo di matrice islamista radicale? L’attivazione dei movimenti radicali potrebbe avvenire a partire dal Sinai. Si potrebbero moltiplicare episodi come quello di ieri, in cui 27 poliziotti sono stati uccisi nella località Abu Taqila nel nord della regione.

Questa decisione, da una parte, costringerebbe il movimento a riprendere la sua tradizionale funzione sociale, ma non favorirebbe la crescita di una classe politica giovane e alternativa agli attuali leader politici (Morsi, Arian, Katatni). La repressione politica è servita solo ad esasperare gli animi, a chiudere i leader della confraternita in cerchi ristretti, a costringerli a temere per la loro sopravvivenza. E così una volta al potere, la Fratellanza ha gestito la cosa pubblica con logiche difensive, non inclusive e politicamente fallimentari.

D’altra parte, questo potrebbe comportare una maggiore indipendenza per Al Azhar, la massima autorità sunnita che, sebbene si proponga come baluardo della distinzione tra religione e politica, in realtà ha seguito le stesse regole del vecchio regime rispetto alla partecipazione politica della confraternita. Questo scontro è avvenuto in seguito a due episodi: l’avvelenamento di studiosi dell’Università di Al-Azhar, che ha fatto gridare ad uno scontro interno per la rimozione dell’imam Ahmed Tayeb. E il secondo è il grave contrasto con la presidenza Morsi in merito alla legge sull’emissione di bond islamici, sokuk, che ha incontrato l’opposizione dell’istituzione sunnita.

Infine, l’eventuale clandestinità della Fratellanza potrebbe determinare la cooptazione di sostenitori del movimento all’interno dei partiti politici moderati: primo fra tutti del gruppo di Moneim Abul Fotuh, leader moderato e riformista che si è mostrato pragmatico in questa fase delicata, criticando l’uso della violenza ma non schierandosi apertamente con gli islamisti né rischiando mai l’arresto.

Per questo, il ritorno dell’ombra della Fratellanza sembra avere più costi che benefici. Potrebbe solo favorire il ritorno del tunnel oscuro del terrorismo, l’esclusione e l’esasperazione degli islamisti moderati oppure la loro cooptazione politica, sotto altre forme rispetto all’era Mubarak.