I Fratelli musulmani non moriranno con Morsi. Nonostante episodi di violenza gravi ma tutto sommato limitati, per gli islamisti dietro l’angolo c’è il timore dello scioglimento del partito politico, Libertà e giustizia. In base alla Costituzione che verrà redatta nelle prossime settimane, infatti, potrebbero essere di nuovo banditi come in passato i partiti che fanno riferimento alla religione. Per questo la fratellanza mantiene aperto il canale negoziale con i militari, proseguendo nell’occupazione di aree strategiche della capitale come il quartiere di Rabaa al Adaweya e mantenendo viva la solita ambiguità di fronte al futuro politico della confraternita.
La Costituzione sospesa, voluta dagli islamisti e approvata nel dicembre scorso, per la prima volta nella storia egiziana non ha escluso la formazione di partiti che facessero riferimento alla religione come ideologia politica. Sono nate così decine di sigle salafite e vicine agli islamisti moderati, insieme al principale partito islamista Horriya wa Adala (Libertà e Giustizia), braccio politico della confraternita dei Fratelli musulmani.
Negli anni Settanta, i Fratelli musulmani hanno abbandonato il radicalismo per incarnare un approccio «riformista» alla partecipazione politica. Una parziale partecipazione politica, fino al gennaio 2011, ha permesso al movimento di allargare la sua influenza sulla società egiziana e di limitare i danni delle ondate repressive. Tuttavia già negli anni Novanta, alle nuove generazioni dei Fratelli musulmani, appariva chiaro che l’integrazione nelle istituzioni egiziane avrebbe potuto minare la capacità di mobilitazione politica del movimento, tanto che i benefici della partecipazione politica sembravano difficili da valutare.
Non solo ideologia, la confraternita conta sul sostegno di banche e della finanza islamica. Questo ha permesso dagli anni Settanta il trasferimento di ingenti somme derivate dagli introiti della vendita del petrolio dall’Arabia Saudita alle élite religiose dei paesi arabi, favorendo la costituzione di varie banche islamiche. Per esempio la Banca islamica Faysal, creata nel 1977, diretta da un principe saudita figlio del re Faysal e sostenuta dall’establishment religioso egiziano. Inoltre, i Fratelli musulmani controllano i sindacati professionali: ingegneri, avvocati, medici, farmacisti e professori dell’Università del Cairo. Dagli anni Novanta godono di una vicinanza ideologica con il centro dell’Islam sunnita, la moschea di Al Azhar e si sono sempre espressi per l’indipendenza dell’istituzione dal potere politico. Nonostante ciò, l’imam Ahmed Tayeb ha deciso di sedere al tavolo con le opposizioni dopo la destituzione di Morsi.
E poi, i Fratelli musulmani, attraverso la rivista al-Dawa, hanno spiegato per anni al grande pubblico le tendenze sociali, politiche, economiche del movimento. Il giornale ha ospitato le pubblicità di influenti famiglie della borghesia imprenditoriale e sostenitori della confraternita: immobiliaristi, proprietari di industrie chimiche, banche, società d’investimento e industrie alimentari. Mentre ikhwaonline.com – in arabo e inglese – è diventato il portale di riferimento della Fratellanza.
I Fratelli musulmani sono cresciuti all’interno del regime di Mubarak grazie a un’ideologia politica moderata e non violenta. Hanno costruito un impero finanziario e mediatico considerevole ma si sono mostrati immaturi in merito alla partecipazione politica. In queste ore si sta definendo lo spazio degli islamisti alle prossime elezioni. Nonostante la retorica, i Fratelli musulmani non vogliono morire con Morsi.