Nel 1798 l’esercito francese entrò a Roma guidato dal generale Berthier. Convinto di esportare i valori repubblicani della Rivoluzione, Berthier salì in Campidoglio e rivolse un solenne discorso ai cittadini, richiamando le glorie della Roma repubblicana: «Ombre di Pompeo, di Catone, di Bruto, di Cicerone, d’Ortensio … ricevete l’omaggio dei liberi francesi. Vengono questi figli dei Galli coll’olivo della pace». Berthier si esprimeva con sincerità, senza forse accorgersi, dalla sua posizione, che le parole pronunciate avrebbero rievocato nei romani uno scenario antitetico: quello dei Galli invasori che nel 390 a.C. avevano umiliato i Romani. Ben presto si vide che al di là di questa diplomatica retorica iniziale, i francesi consideravano i romani come i discendenti decaduti di una civiltà un tempo fiorente di cui loro, oltralpe, erano i legittimi eredi. Perciò anche la requisizione dei capolavori che presero la via di Parigi dopo il Trattato di Tolentino trovava la sua giustificazione nel fatto che l’Italia, terra di privilegi nobiliari e governi monarchici assolutisti, non era più degna di conservarli. I carri sfilarono per Parigi come un antico trionfo romano e in testa al corteo uno stendardo suggellava l’operazione con versi inequivocabili: «La Grecia li ha ceduti; Roma li ha perduti: la loro sorte cambiò due volte; ma non cambierà più».
L’eredità morale di Roma passava così nella Francia rivoluzionaria che, comunque, non ne fece il modello esclusivo; venne evocato anche quello della Grecia culla di libertà dove era fiorita un’arte insuperabile, secondo il paradigma elaborato qualche decennio prima da Winckelmann. Quando però all’inizio del nuovo secolo la Repubblica rivoluzionaria con i suoi consoli e tribuni si diresse rapidamente verso la forma monarchica – Napoleone console a vita (1802) e poi imperatore (1804) –, le figure carismatiche della Roma repubblicana diventarono imbarazzanti, e perciò fu necessario rivolgersi a quelle della Roma imperiale. Napoleone comunque non assunse il titolo di imperatore di Roma, ma dei francesi, perciò Parigi rimase la capitale del nuovo impero, mentre Roma fu declassata a seconda città e il titolo di re di Roma assegnato all’erede al trono.
Con queste premesse, nella visione di Napoleone Roma avrebbe dovuto essere trasformata, e in effetti l’imperatore aveva progetti grandiosi che, sia per il poco tempo in cui la città fu governata dai francesi, sia per problemi economici e sociali, non furono mai realizzati; né l’imperatore mise mai piedi nell’Urbe. Ciò naturalmente non impedì che egli usasse la Roma antica come un modello, come ci racconta adesso una opportuna mostra allestita negli spazi dei cosiddetti Mercati di Traiano: Napoleone e il mito di Roma, a cura di Claudio Parisi Presicce, Nicoletta Bernacchio, Massimiliano Munzi e Simone Pastor, aperta fino al 30 maggio.
L’occasione è offerta da una data imminente, il 5 maggio 2021, ricorrenza dei duecento anni dalla morte di Bonaparte, un anniversario importante che non poteva trovare un luogo più consono per essere ricordato: l’area archeologica dei Fori imperiali nasce infatti con il governo napoleonico, che nel 1811 avviò la sistemazione della zona a sud della Colonna Traiana, abbattendo l’isolato di Sant’Eufemia e gettando così le premesse per lo scavo, la scoperta e la sistemazione di parte del foro di Traiano. Ancora oggi il percorso di visita dei fori imperiali inizia proprio scendendo nel ‘recinto pontificio’, da dove si raggiungono gli altri settori delle piazze forensi scoperte successivamente. La mostra quindi si snoda negli spazi museali dove sono conservati i superbi reperti rinvenuti in occasione di quegli scavi, primi fra tutti le statue dei Daci che coronavano i lati della Basilica Ulpia. Come è noto, Napoleone avrebbe voluto smontare e trasferire la Colonna Traiana a Parigi, ma vi rinunciò sia per il timore dello scandalo che ne sarebbe conseguito, sia per le difficoltà tecniche ed economiche; si limitò ad usarla come modello per la realizzazione della Colonna Vendôme, eretta per celebrare la vittoria di Austerlitz nel 1805.
La mostra è concepita per accompagnare il visitatore dal generale al particolare, quindi la prima sezione esplora il rapporto tra Napoleone e il mondo classico attraverso l’adozione di modelli tratti dall’Antico, utilizzati per trasmettere messaggi di potere, buon governo e conquiste militari, fino alla divinizzazione della sua figura. Il percorso biografico dell’imperatore è narrato con opere sapientemente scelte da vari contesti, tra cui il gesso di Louis Rochet per la statua di Napoleone cadetto a Brienne, un bronzetto raffigurante Alessandro Magno a cavallo che evoca il tema dell’imitatio Alexandri, il maestoso bronzo di Lorenzo Bartolini raffigurante Napoleone I Imperatore, in cui Bonaparte viene ritratto con la corona d’alloro come un imperatore romano. La sezione si chiude con la morte e l’apoteosi di Napoleone, considerato un eroe antico ma anche un santo e un taumaturgo, in continuità con i re medievali, caratteristica sottolineata nel gigantesco dipinto di A. J. Gros, Il generale Bonaparte visita gli appestati di Jaffa, richiamato in mostra da un’incisione di A.C. Masson.
Si prosegue poi con la sezione dedicata al rapporto di Napoleone con l’Italia e Roma: è qui che viene illustrato il vastissimo programma (mai realizzato) di trasformazione urbana di Roma, evocato con una installazione: un viale di cipressi a suggerire un boulevard. Di notevole interesse è la seguente documentazione dello scavo della basilica Ulpia: incisioni di Vasi, Uggeri, Cipriani tra cui – eccezionalmente esposti per la prima volta – i tre progetti redatti nel 1812 da Giuseppe Valadier e Giuseppe Camporese (conservati all’Accademia di San Luca), che documentano le tappe che portarono alla scoperta delle strutture della basilica Ulpia, delle statue di Daci esposte nel museo, riunite per la prima volta a sculture provenienti dall’area, e oggi conservate nei Musei Vaticani.
L’ultima parte approfondisce aspetti relativi alla ripresa di modelli antichi nell’arte e nell’epopea napoleonica: ancora una volta sulle orme di Alessandro Magno, dall’Egitto a Babilionia, un itinerario celebrato in mostra con cinque lastre del fregio con Il Trionfo di Alessandro Magno in Babilonia di Bertel Thorvaldsen, derivate dal fregio per il palazzo del Quirinale nel 1812, nell’allestimento degli appartamenti imperiali in cui Napoleone e la sua famiglia mai abitarono. Chiusura ad effetto con il celebre olio di François Gérard Napoleone con gli abiti dell’incoronazione, che raffigura il Bonaparte all’apice del potere e rappresenta il compendio più evidente dell’uso che egli seppe fare dei simboli.
Gli spazi dei Mercati di Traiano non sono agevoli per allestire mostre, ma in questo caso pezzi quasi inamovibili della collezione permanente, come i Daci, vengono ben integrati nel percorso: percorso che si chiude sempre con una delle più spettacolari vedute di Roma.