L’inquadratura del volto o del mezzo busto su sfondo più o meno domestico realizzata dalla videocamera integrata di pc, tablet o smartphone è ormai una delle forme estetiche familiari del nostro quotidiano in questo anno pandemico. Sono immagini visibili tanto da chi le riceve quanto da chi le produce. Ci si guarda mentre si è guardati, ci si sorveglia mentre si è sorvegliati come in uno specchio bifronte. «Gli specchi farebbero bene a riflettere prima di rinviare un’immagine», ammonivano J.L. Godard e A.M. Miéville citando Cocteau in 50×2, sguardo critico su un centenario del cinema che celebrava lo sfruttamento commerciale di un’arte altrimenti ignorata in quanto tale.

Cosa dicono di noi e al di là noi le immagini che fruiamo e produciamo in videochiamata? Sicuramente ci dicono che siamo più o meno sempre sotto esame, misurati da quel calibro che è lo sguardo altrui sull’immagine che diamo. C’è chi di quel riflesso se ne infischia e chi invece in questi mesi ha studiato come posizionare la camera per ottenere le inquadrature più nitide, chi ha imparato a scegliere le fonti luminose, a vestirsi appositamente – non abbandonando ma celando tuta o pigiama –, ad allestire lo sfondo più neutro per non rivelare nulla dei propri interni domestici o a sfruttare ogni occasione per mettersi in scena posizionando ad arte pile di libri e oggetti selezionati ad hoc per l’autopromozione.

UNO DEI «LUOGHI» in cui il nesso tra immagine-sorveglianza-giudizio si fa più delicato è la scuola. «Nelle case degli studenti, la scuola deve entrare in punta di piedi» dice una delle insegnanti intervistate da Alberto Momoin La scuola prossima, in cui il regista prova a esplorare – e a illuminare – quel che resta della scuola in pandemia, quando vengono meno gli spazi, gli oggetti, i tempi, i riti e i corpi che danno sostanza all’esperienza scolastica. È forse presto per teorizzare processi ancora in atto e pesarne le conseguenze ma il film di Momo vive del tempo presente, documenta i tentativi e le difficoltà nel mantenere le relazioni quando la didattica rischia di farsi verticistica e i corpi sono solo immagini a frammenti, per di più realizzabili con strumenti tecnologici non accessibili a chiunque. Le diseguaglianze già presenti si accentuano e la divisione tra pubblico e privato decade disvelando spudoratamente la vita dietro le quinte: «Quando ho visto la casa della mia allieva mi sono messa a piangere» dice un’altra docente. L’invadenza dello sguardo è tanto maggiore quanto minore è la capacità o la possibilità da parte dei soggetti di controllare l’immagine e la messa in scena.
Filmare la scuola di oggi significa cercare una forma per raccontare il farsi e il disfarsi di un immaginario, quello del «prima» e quello dell’oggi, con le piattaforme che rischiano di vincolare l’estetica pedagogica al paradigma faccia-sfondo. Significa mostrare i tentativi di inventare modi altri di abitare lo schermo, di trasformarlo in acquario, in abisso stellare, in campo da gioco, in lavagna magica. Come fa una classe del cuneese che studia Primo Levi trasformandone Il fabbricante di specchi in un videosaggio (di cui il film propone alcuni momenti ma che è visibile interamente su youtube) sulla proiezione alla base di ogni legame affettivo e sulla percezione sempre relativa, dell’immagine di sé e dell’altro.

MOMO si smarca poi dall’estetica del computer screen movie con un gesto cinematografico che scolla l’audio dal video e si muove dentro e fuori dallo schermo mostrando tanto la vita che irrompe nell’inquadratura – la mamma che passa in cucina mentre la figlia segue lezione – tanto ciò che vive intorno al tablet.
Ma in questi mesi pandemici, di fronte al dilagare della vita sullo schermo, c’è chi ha dato luogo ad esperienze didattiche letteralmente «iconoclaste».
Sempre in provincia di Torino, alcuni insegnanti di una scuola media di Ivrea hanno sperimentato la didattica via webradio proponendo – in collaborazione con l’emittente locale Radio Spazio Ivrea – dirette in orario scolastico e podcast per recuperare in qualsiasi momento lezioni perse o riascoltare passaggi non chiari.

QUESTA FORMA non esclude totalmente le videolezioni ma le integra o le affianca, soprattutto nel caso di discipline come la matematica che necessitano di supporto visivo. Fruibili a chiunque, queste lezioni sono diventate un modo per aprire la scuola alla cittadinanza e per impiegare la voce come stimolo all’immaginazione contro l’usura dell’immaginario.