Nell’articolo La crisi del fosforo minaccia la produzione agricola mondiale uscito sul numero del 25 marzo dell’Extraterrestre, veniva riportato che i fosfati vengono estratti nel deserto marocchino. In realtà i principali giacimenti si trovano nel Sahara Occidentale, territorio occupato abusivamente dal Marocco, e sul quale il popolo saharawi – che da secoli lo abita – rivendica il proprio diritto all’autodeterminazione. Per farci spiegare meglio la situazione, abbiamo contattato Fatima Mahfuda, Rappresentante del Fronte Polisario per l’Italia.

«La situazione al momento è drammatica – spiega – siamo tornati indietro di decenni, non c’è più un piano di pace e le Nazioni Unite hanno perso ogni credibilità. Il Marocco vìola costantemente l’accordo di pace e nel frattempo continua, assieme a molte imprese europee, a sfruttare le risorse del Sahara Occidentale senza lasciare niente ai saharawi».

Come siamo arrivati a questo punto? «Il Sahara Occidentale – racconta Mahfuda – è una ex colonia spagnola, per la quale la Spagna non ha mai avviato un processo di decolonizzazione. Piuttosto, nel 1975, re Juan Carlos preferì invitare i paesi vicini, Marocco, Mauritania e Algeria, a spartirsi il territorio, con il tacito accordo che favorissero le imprese spagnole. Solo l’Algeria rifiutò, mentre Marocco e Mauritania accettarono di buon grado».

Inizia così un’occupazione militare che ben presto sfocia in una sanguinosa guerra fra gli occupanti e le popolazioni locali, riunite sotto la sigla di Fronte Polisario (acronimo che sta per Fronte di Liberazione Popolare di Saguia el Hamra e del Río de Oro). La guerra terminerà solo nel 1991 con la sottoscrizione del Piano di pace, voluto da Nazioni unite e Unione africana, fra Fronte Polisario e Marocco (la Mauritania si era ritirata dal conflitto, sconfitta, già nel 1979). Tale accordo prevedeva, fra le altre cose, un referendum sull’autodeterminazione del popolo saharawi. Che però non è mai arrivato.

«Abbiamo aspettato 29 anni – continua la rappresentante – quel piano di pace originale ha subito tantissimi cambiamenti. Le Nazioni unite hanno perso ogni credibilità, e la loro presenza oggi sembra legittimare piuttosto l’occupazione marocchina. Siamo stremati». Lo sfruttamento delle risorse naturali continua nonostante sia l’Alta corte europea (per ben quattro volte) che il responsabile legale delle Nazioni unite si siano espressi in maniera contraria, ritenendo nullo, su quei territori, anche l’accordo commerciale fra Ue e Marocco.

Nel frattempo, a partire dal 1982, il Marocco ha costruito un muro difensivo lungo 2700 km (il secondo più lungo al mondo, dopo la Muraglia cinese), circondato da una zona militare con bunker, fossati, reticolati di filo spinato e campi minati. «Lo chiamano il Muro della vergogna, ancora oggi è presidiato da 150 mila soldati e circondato da 5-10 milioni di mine, che ogni tanto uccidono qualcuno».

Di tanto in tanto il conflitto riesplode, come il 13 novembre scorso, quando il Marocco ha violato la tregua facendo fuoco sui manifestanti che protestavano bloccando il passaggio di El Guerguerat, un punto strategico attraverso cui transitano molte risorse.

Le uniche speranze dei saharawi sembrano riposte nell’Unione africana, dove sia la Repubblica dei Saharawi sia il Marocco sono rappresentati. Una mano, tuttavia, si può dare anche dall’Italia. «In Italia – conclude Mahfuda – c’è un bellissimo movimento di solidarietà, che si chiama Rete Saharawi. Attraverso questa rete facciamo tantissime attività per aiutare le persone più vulnerabili, dai portatori di handicap, all’accoglienza estiva dei bambini saharawi. Basta cercare sui motori di ricerca o sui social network, per trovare l’organizzazione più vicina».