Italicum o morte, al costo di votarlo un giorno prima dell’elezione del presidente della Repubblica. Berlusconi accetta tutto, anche il premio di maggioranza alla lista che secondo un pezzo del suo partito è, evidentemente, un suicidio. Renzi impone i tempi. Il parlamento si adegua.

Dittatura, Aventino, colonnello Tejero… Si incattivisce la retorica d’aula quando alle otto di sera la maggioranza reale, rinverdita al mattino da un’ora di colloquio tra il premier e l’ex cavaliere, entrambi extra parlamentari, comincia a piegare la resistenza del senato. Impallidiscono i precedenti e la legge elettorale, figlia primogenita del patto del Nazareno, viene spinta avanti strappando regolamenti e prassi un pezzo dietro l’altro. Come fosse l’ultima delle leggine: «Colleghi, c’è il precedente della legge sui campi elettromagnetici», comunica algida la presidente vicaria Valeria Fedeli, salda nel posto di Pietro Grasso. Ma qui si parla della legge elettorale attesa dieci anni per sostituire l’incostituzionale Porcellum. Per farla passare entro la settimana il presidente del Consiglio che l’ha battezzata Italicum la affida a un trucco. Un emendamento «preliminare» che riassume il contenuto di tutta la legge e che dunque, una volta approvato, fa cadere in un colpo solo tutti gli emendamenti contrari (40mila). Anche quelli presentati dalla minoranza del Pd, anche quelli che la fronda di Forza Italia era pronta a sostenere. Si voterà oggi.

In aula le opposizioni si organizzano, Lega, 5 stelle, forzisti tendenza Fitto, democratici tendenza Bersani e Sel sollevano obiezioni a raffica. Fedeli ignora tutto, toglie la parola, non si cura della gazzarra e non fa una piega quando una penna lanciata dal leghista Candiani la centra in petto. Il senatore che ha firmato il trucco resiste in silenzio a due ore di accuse, chino nel suo banco. Poi sbotta. E’ il senatore Esposito, ultras renziano noto per le campagne pro Tav, due fedi che hanno vacillato ma ora risplendono. «Questa volta ti ho battuto sulla tecnica parlamentare», rivendica in faccia all’esperto Calderoli. Ma ha un vantaggio: la maggioranza è con lui e la conduzione d’aula si adegua. Il suo non è un emendamento corretto nella forma, perché non ha quel contenuto «innovativo e precettivo» prescritto dal regolamento. E’ solo un riassuntone in nove punti dell’accordo del Nazareno. E’ però fondamentale, soprattutto perché le opposizioni per sette giorni sono corse dietro ai quattro emendamenti di maggioranza senza accorgersi del contropiede di Esposito. Secondo i leghisti, che sostengono di avere un video, il senatore è arrivato tardi, depositando il suo testo oltre il termine per gli emendamenti. Ma quel termine era stato riaperto da Grasso proprio su richiesta delle opposizioni. Calderoli le tenta tutte, conferma e ritira emendamenti a pacchi. La capogruppo di Sel De Petris, estenuata, sfida l’impassibile ministra Boschi a porre la questione di fiducia sulla legge elettorale. Sarebbe un’enormità, di fatto è già così.

I forzisti richiamati all’ordine da Berlusconi siedono a testa bassa. Ogni tanto, bersagliati dagli insulti anche da destra, Verdini, Ghedini e Romani improvvisano un vertice tra i banchi, la senatrice Rossi telefona a raffica presumibilmente a Berlusconi. Cambia poco. Il Nazareno va ingoiato per intero.

L’unica soddisfazione per i berlusconiani è poter dire che la maggioranza è platealmente cambiata. Ai dissidenti del Pd si sostituiscono gli obbedienti di Forza Italia. Eccezionalmente interviene anche Tremonti: «Dal momento che la legge elettorale era nel programma del governo, se cambia la maggioranza che l’approva dovrebbe cambiare anche il governo». Non fa una piega, ma il patto del Nazareno procede un passo per volta. Intanto c’è l’elezione del presidente della Repubblica che da ieri è ufficialmente un affare a due. I nomi in voga sono ancora quelli di Mattarella e Amato. Ma c’è chi ha notato come nella gazzarra dell’aula sia rimasta impassibile la senatrice Anna Finocchiaro: mai una volta ha replicato agli attacchi del leghista Calderoli, ha tenuto a freno la sua abilità tecnica proprio all’apice della battaglia.

Adesso in prima linea c’è Esposito, l’arma segreta contro i trenta – diventati nel frattempo ventisei – senatori della minoranza Pd. Eppure, malgrado l’incrocio con la fronda forzista, il potenziale offensivo dei bersaniani sull’Italicum è limitato. Non hanno i numeri per bloccarlo né per modificarlo. Testimoniano, però, nella maniera più evidente da un anno a questa parte, un dissenso forte. Per questo Renzi si è dato da fare con dedizione per sconfiggerli, con in testa evidentemente la partita successiva. Mettere ai margini chi non si allinea tra i suoi, tenere vivo e in sella Silvio Berlusconi: per il Quirinale la strategia è ancora quella. Al costo di trasformare l’aula del senato in un rodeo oggi, domani e per tutto il tempo necessario all’Italicum fino alla prossima settimana. Pagherà?