Lo scenario che li ha visti emergere è lo stesso: quello della crisi economica e di un crescente sentimento di ostilità nei confronti dell’Unione Europea. Ciò che li differenzia ha invece a che fare con le loro specificità nazionali, o addirittura regionali, e il diverso respiro delle rivendicazioni avanzate. Eppure è difficile non cogliere almeno qualche similitudine tra il movimento dei Forconi, e quello che, sotto il nome di Bonnets Rouges, si è sviluppato in Bretagna fin dal mese di ottobre, per poi trovare emuli in varie regioni di Francia.

In entrambi i casi si tratta di aggregazioni sociali che si muovono fuori dal circuito tradizionale della rappresentanza del mondo del lavoro, grandi sindacati o associazioni di categoria, e che mostrano un’evidente trasversalità, mettendo insieme imprenditori, “padroncini”, “partite Iva”, lavoratori dipendenti, ma anche disoccupati e giovani. Allo stesso modo, malgrado sia chiara la connotazione destrorsa dei principali promotori delle proteste italiane, oltre all’investimento politico che su questo fenomeno sta facendo l’estrema destra, ma anche lo stesso Berlusconi, e il carattere invece più composito del movimento bretone, in entrambi i casi è davvero difficile parlare, ammesso che abbia senso farlo riguardo ai movimenti sociali, di «piazze di sinistra». Anzi, la sensazione che all’ombra della crisi e della rabbia verso Bruxelles, le destre stiano cercando di costruire le proprie “piazze” e cooptare una parte del malessere sociale, è piuttosto netta. Che questo possa avvenire per l’inadeguatezza della sinistra a rappresentare nuove forme di disagio che riguardano ormai sempre più spesso anche l’ex ceto medio, è tutta un’altra questione. In questo contesto è il profilo dei Bonnets Rouges che interessa, nelle sue similitudini e differenze con quanto emerso fin qui rispetto ai Forconi.

A partire dal nome che si sono scelti i manifestanti bretoni, che fa riferimento ai berretti rossi che portavano gli animatori di una rivolta anti-fiscale scoppiata nella regione intorno al 1675, contro Luigi XIV. Anche il movimento odierno è sorto per chiedere una riduzione generalizzata delle tasse – e in Francia non c’è neppure Equitalia –, e in particolare il ritiro della cosiddetta écotaxe, voluta dal governo Ayrault per disincentivare il traffico delle merci su gomma, causa di inquinamento.

Secondo gli animatori delle proteste, riuniti nel Comité de Convergence des Intérêts Bretons, per una regione considerata come la dispensa del Paese – la Bretagna ha sviluppato fin dagli anni ’70 un sistema di allevamento e di agricoltura intensivi –, un’imposta del genere ridurrebbe i guadagni e metterebbe a rischio i posti di lavoro. Questo, in un momento in cui le industrie del settore e i centri per la macellazione della carne, di cui la regione detiene il primato in Francia, stanno chiudendo uno dopo l’altro.

Alla testa del movimento, che il 2 novembre, dopo molti blocchi stradali e piccole manifestazioni, ha portato in piazza a Quimper oltre 40mila persone – gli abitanti della Bretagna sono circa 3 milioni –, mentre in tutta le regione sono stati distrutti decine di radar stradali dell’écotaxe, ci sono figure legate agli autonomisti locali, da sempre su posizioni di sinistra, sindacalisti spesso in aperto dissidio con le loro centrali nazionali, ma anche padroncini e esponenti della Confindustria. La mobilitazione, cui il governo di Parigi ha risposto fin qui rinviando l’applicazione della nuova imposta e varando un piano di investimenti, ha preso di mira il premier oltre allo stesso presidente Hollande, accusato di immobilismo e di «fare gli interessi della Ue», e si è diffusa anche nell’estremo Nord del paese come in Provenza.

Rifiutando esplicitamente le sirene del Front National – Jean-Marie Le Pen che è bretone si è detto «un sostenitore» del movimento – i Bonnets Rouges hanno visto però l’estrema destra del Bloc Identitaire prendere parte alla loro mobilitazione, mentre gli esponenti dell’Ump, il partito di centrodestra che fatica a trovare un nuovo leader dopo Sarkozy, hanno cercato di cavalcare la protesta presentandola come il risveglio della «maggioranza silenziosa» dei francesi, stufi della crisi e della gauche. Un destino davvero simile a quello dei Forconi.