Le coppie cinesi potranno avere tre figli anziché due. E’ quanto è stato deciso lunedì durante un incontro dell’Ufficio politico del Pcc, presieduto dal presidente Xi Jinping. Il comunicato -che non specifica quando entreranno in vigore le nuove misure – fa esplicito riferimento al rapido invecchiamento della popolazione e alla necessità di “mantenere i vantaggi del nostro paese nelle risorse umane”.  Chiara allusione alle temute conseguenze economiche del trend demografico in discesa. Si stima che entro il 2030 un quarto della popolazione cinese avrà superato i 60 anni, con inevitabili ricadute su consumi interni, produttività del lavoro, e sistema di previdenza sociale.

Secondo diversi analisti, nemmeno investire nelle nuove tecnologie e nell’automazione potrebbe bastare a controbilanciare gli effetti dell’invecchiamento. Servono riforme economiche per massimizzare la forza lavoro, migliorando il livello di istruzione, e spostare il focus dalla rapidità alla qualità della crescita. Per quanto impopolare, aumentare l’età pensionabile sembra ormai una scelta obbligata, anche se la leadership promette di agire “gradualmente” e “con prudenza”.

L’annuncio giunge a pochi giorni dall’esito dell’ultimo censimento, stando al quale nella scorsa decade la popolazione è crescita al ritmo più lento da quando il governo ha cominciato a tenere il conto nel 1953. Lo scorso anno – complice la pandemia Covid-19 – il numero di nuovi nati è stato di appena 12 milioni, il 18% in meno rispetto al 2019. Il tasso di fertilità è sceso all’1,3%, tra i più bassi al mondo. Considerate le incongruenze nei dati rilasciati, non è escluso che le statistiche reali siano anche più fosche. Segno dell’inefficacia dei provvedimenti attuati finora.

Nonostante nel 2016 sia stata abolita la legge del figlio unico – e innalzato il limite a due bambini per coppia – le nascite hanno riportato una crescita solo lo stesso anno, per poi tornare a diminuire del 3,5% nel 2017. La sperimentazione della politica dei tre figli nel nord-est del paese è stata ugualmente deludente. Stavolta però è diverso. All’orizzonte si intravedono per la prima volta “misure di sostegno” alle famiglie. Il governo ridistribuirà le risorse educative più equamente e ridurrà le spese per l’istruzione.

Di più: verranno migliorate le politiche fiscali e abitative, e garantita una maggiore tutela per i diritti delle lavoratrici. Insomma, si cercherà di stimolare la genitorialità rimuovendo gli ostacoli materiali. Basterà? C’è chi teme che i danni causati da decenni di pianificazione famigliare siano ormai irreparabili. La predilezione per il figlio maschio si è tradotta in un surplus di uomini e una diminuzione di donne in età fertile.

Secondo la banca centrale cinese, le restrizioni sulle nascite vanno rimosse completamente e subito. Un’opzione non semplice. Da una parte equivarrebbe ad ammettere di aver perseguito per anni una strategia sbagliata. Dall’altra permane il timore che nelle campagne, dove avere tanti figli è ancora un’ossessione di molti, una liberalizzazione eccessiva comprometterebbe la lotta contro la povertà. Anche una volta raggiunto un consenso ai vertici, potrebbe risultare non così semplice mettere in riga le amministrazioni locali che continuano a lucrare sulle sanzioni comminate ai trasgressori.

La pancia del paese è altrettanto dubbiosa. In un sondaggio lanciato su Weibo dall’agenzia di stampa Xinhua per sondare la popolarità del provvedimento su 31.000 rispondenti ben 28.000 hanno affermato di “non prendere affatto in considerazione” la possibilità di avere tre figli, mentre appena 1.600 si sono detti a favore. L’indagine è stata rimossa dal web dopo poche ore.