Una corriera sgangherata percorre il deserto, tra i viaggiatori un ragazzo cui è stato assegnato il posto di insegnate in un villaggio che non c’è, gli dicono. Dopo aver incontrato un vecchio che scava delle buche nel deserto, alla ricerca di un leggendario tesoro, giunge in uno spazio incantato: un villaggio antico, color della sabbia, dalle geometriche decorazioni arabe. E ‘un luogo da mille e una notte – non perché sia suntuoso, ma perché come il celebre libro è un intreccio di narrazioni, alcune fantastiche, altre simboliche, tutte molto colorate e col sapore antico delle miniature persiane, delle quali ci ha raccontato Pamuk. Questo è il mondo che l’illustratore e poeta Nacer Khemir ha creato nel suo famoso El-haimoune (I figli della mille e una notte, distribuito e conosciuto come Les baliseurs du désert)), presentato proprio a Venezia nel 1984, che forse molti ancora ricordano (e di cui hanno gia’ letto a suo tempo su queste pagine), ma che ora ha ripreso vita grazie alla cineteca di Bruxelles, diretta da Nicola Mazzanti.
I COLORI DEL DESERTO
Digitalizzazioni e restauri si fanno infatti anche per film relativamente recenti, perché purtroppo le pellicole su cui si sono stati girati molti film nel dopoguerra erano di una qualità scadente, e diventano presto rosa e marrone. I colori invece sono essenziali in questo mondo di fantasia nel quale gli uomini vestono con accostamenti azzardati di colori vivaci, i rossi e i verdi, ma anche i gialli e i blu cobalto, e le pareti sono dipinte di un azzurrino ineffabile. Ma il problema, nel restauro del colore di questo film è stato individuare le sfumature giuste per la sabbia: quel colore dorato che, come abbiamo appena visto nel film di Andrea Segre, ha mille toni diversi, come testimonia la serie di bottigliette che il poliziotto colleziona. Il villaggio-che-non-c’è è ossessionato da due misteriose faccende: il tesoro e una maledizione che spinge bambini e ragazzi a vagare nel deserto, senza poter tornare a casa. Si chiamano erranti – una buona traduzione che allude sia allo sbaglio che sta dietro a questa scelta di allontanarsi dalle famiglie e soprattutto dagli anziani e dalla loro saggezza, sia al loro vagabondare come in cerchio intorno al villaggio. Come i migranti che scelgono l’ignoto, ma entrano in una spirale della quale non hanno controllo. Il maestro però riesce a spezzare questo incantesimo, trovando in un libro antico la formula che interrompe la maledizione. E poi sparisce. Appare quindi un poliziotto che investiga su questa scomparsa, che crede motivata dal misterioso «tesoro». Ma nonostante tutti gli uomini del villaggio si mettano a scavare nel deserto, il tesoro non si trova, ma viene sostituito da una nave miracolosamente approdata nel Sahara – l’(inutile) barca di Sinbad.
«Soltanto il tempo è un enigma» recita una battuta del film, chiarendo come il poliziotto ottuso o l’autista della corriera che pensa che il villaggio non esista, non siano più in contatto con la gente del villaggio, che invece veste coi costumi antichi, incluse le lunghe code di cavallo che portano i ragazzini, come rito di passaggio. I due mondi vivono in tempi diversi, e solo il maestro riesce ad attraversarli.
I MAESTRI
Nacer Khemir, ricci capelli bianchi ma viso ancora giovane e occhi vivaci e penetranti dietro agli occhiali, ha sottolineato come il film sia purtroppo ancora attuale, perché i giovani di oggi scelgono ancora di lasciare le loro case, per seguire spesso il sogno dei beni materiali, mentre l’unica vera ricchezza è la cultura, l’educazione. Il messaggio traspare chiaro, nelle figure del maestro e degli anziani, che incarnano la saggezza, e nella vana ricerca di un-tesoro-che non-c’è. Ma il regista va oltre insistendo su come questa collaborazione tra la cineteca di Bruxelles, con la sua anima italiana, Mazzanti, e il tramite del critico tunisino Mohamed Challouf testimonia come il Mediterraneo possa essere non un mare pieno di morte o uno spazio di separazione, ma un luogo vivo di comunicazione tra le due sponde. «Due sponde che sono necessarie l’una all’altra perché il Mediterraneo viva». Per questo cioò che conta non è il bene materiale ma la possibilità di sognare. «Noi sogniamo di voi, e voi sognate di noi, ma cerchiamo invece di sognare insieme». Parole sante, diceva quello, nel momento in cui quel «sogno» sembra definitivamente affogato, e proprio a Bruxelles.
LA CINETECA
Un altro sogno invece, durato 50 anni, si sta realizzando invece proprio attraverso questo restauro: la nascita di una cineteca tunisina. Mentre l’Algeria si era data una sua cineteca fin dall’indipendenza, dopo che per molto tempo il Ministero della Cultura tunisino non si è preoccupato di dar vita a questa istituzione, finalmente le acque si muovono. Challouf è al lavoro quindi per mettere in piedi la cineteca di Tunisi, che non vuole essere solo uno spazio per vedere cinema di qualità, anche se ci sarà anche quello, ma un luogo dove dei giovani tunisini, addestrati a Bruxelles, possano conservare il loro patrimonio. Sono già stati raccolti diversi documentari e materiali girati in Tunisia, o che rappresentano l’immagine della Tunisia all’estero, per ora conservati a Bruxelles, e sono già stati formati in Belgio i primi archivisti.
«Il cinema non ha data o nazionalità» dice Nicola Mazzanti. «Tutto il cinema, del passato lontano e di quello più vicino, deve essere conservato per il bene di tutti». Ricordando l’importanza di questo testo per i cinefili come lui, Mazzanti e Challouf hanno scelto di partire da El-haimoune per avviare questo progetto di collaborazione transnazionale.
DIGITALIZZAZIONE
Si è proceduto quindi a una digitalizzazione conservativa della pellicola, preoccupandosi soprattutto dell’aspetto del colore, e sotto la guida dello stesso Khemir. (Non un vero restauro quindi, piuttosto un lavoro che permette al film di rientrare in circolazione, di avere una seconda vita.) La presenza di Khemir non è una scelta automatica ma si collega alla decisione che, come alla Cineteca di Bologna, ci sia un regista a seguire le attività di restauro della futura Cineteca di Tunisi, in modo da dare la giusta attenzione non solo alle questioni tecniche ma anche agli aspetti estetico-culturali del cinema. Il tutto immerso in un progetto educativo più vasto che avvicini i millenials al «vero» cinema, ovvero come auspica Khemir una autentica «educazione all’immagine».