Al centro del dibattito pubblico (e social) troviamo spesso l’analfabetismo funzionale dei nativi digitali, fino all’utilizzo di termini odiosi come webete. Nella settimana scorsa 600 professori universitari di vari atenei italiani hanno firmato una lettera che lamenta le lacune linguistiche e grammaticali dimostrate da molti studenti universitari. Non sono però mancate le risposte di critica per lo smantellamento progressivo dell’istruzione pubblica. Si rimanda quindi la critica al mittente: dov’erano questi baroni mentre la pubblica istruzione veniva affossata?
Questa – giusta – risposta prende per buona la «dequalificazione» generale dei giovani oggi. Siamo sicuri che sia così? C’è un cambiamento antropologico generato nell’interazione dei nativi digitali con le nuove tecnologie. Ciò determina un modo diverso di imparare e di svolgere le funzioni essenziali della produzione, che investono anche la comunicazione scritta. Oggi consumiamo informazioni come mai prima. La scrittura è al centro delle nostre vite, ma in un modo profondamente diverso rispetto agli scorsi decenni. I giovani di cui parlano in tono catastrofico i 600 baroni comunicano messaggi in più lingue, associando a questi brevi testi immagini e video autoprodotti o selezionati rapidamente. Queste piccole operazioni che compongono messaggi e connessioni complesse strutturano il mondo in cui viviamo, nonostante proprio quei 600 professori universitari non ne abbiano la stessa facilità di accesso. Tutto ciò significa che «i nuovi media rendono stupidi i giovani»? O, al contrario, che dobbiamo fare un’apologia delle nuove forme di comunicazione che abbattono la tradizione letteraria? Nessuna delle due. Ma dobbiamo prendere sul serio la realtà di giovani che utilizzano come mai prima la scrittura nella vita quotidiana, trasgredendo alcune delle fondamentali regole grammatiche e sintattiche della lingua italiana, tanto da allarmare coloro che si considerano legittimi detentori della vera cultura italiana. Questi ultimi esprimono disprezzo, seguendo Umberto Eco che si arrabbiava di fronte alla stupidità a cui hanno dato voce i social. Rileviamo piuttosto che i progressivi tagli e la riorganizzazione dell’istruzione al fine di creare innocui tirocinanti piuttosto che cervelli critici, hanno concorso a determinare la marginalità dell’educazione ufficiale nel percorso formativo, che assume le forme dei «social».
L’inedita intensità dell’interazione uomo-macchina ha ricadute sui meccanismi di apprendimento, e l’istantaneità della comunicazione reinventa le regole con cui si esprime l’immaginazione. In ogni caso, questa intensa interazione produce novità sotto il profilo delle forme di comunicazione che necessariamente modificano il modo in cui si scrive, queste novità hanno bisogno di maggiori sforzi per essere decodificate oltre il paradigma della mancanza e della nostalgia, siano essa riferite all’istruzione nel senso classico o addirittura all’intelligenza.