Quando il 5 marzo del 1982 John Belushi morì di overdose a 33 anni in un bungalow dell’Hotel Chateau Marmont di Hollywood, la sua carriera sembrava entrata in un vicolo cieco. Aveva abbandonato il programma televisivo che lo aveva portato alla fama, due film flop avevano appannato il suo appeal con il grande pubblico. La sua ascesa al successo era stato improvvisa, il suo declino era stato ancor più rapido. Ma il declino non ha portato all’oblio. Belushi si è trasformato come James Dean o Marilyn Monroe, in uno di quei volti dello star system americano diventati icone. Ce lo ricorda un nuovo documentario diretto da R.J. Cutler intitolato semplicemente Belushi e prodotto per il canale Showtime.

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Il lavoro ha una genesi lunghissima e nasce da alcune interviste audio raccolte dallo scrittore Tanner Colby e già in parte confluite in una biografia firmata dallo stesso Colby e dalla moglie dell’attore, Judith Jacklin, pubblicata nel 2005 e edita in Italia proprio in queste settimane da Sagoma Editore con il titolo John Belushi. La biografia definitiva. Il documentario e il libro ci restituiscono un uomo fragile e incontenibile, affettuoso ma incostante, assetato di un successo che lo attraeva, ma che non riusciva a gestire. Ci descrivono però un talento strabordante, uno showman capace di essere artista totale: attore, giullare, trasformista e rockstar. Sì, perché se il pubblico americano lo conobbe con gli sketch del Saturday Night Live, al di fuori degli Stati Uniti Belushi venne reso immortale da Jake «Joliet» Blues, un personaggio tra fiction e realtà creato da John per guidare una tanto fantomatica quanto portentosa Blues Brothers Band.
Nella sua parabola artistica e umana la musica e il mondo musicale giocano un ruolo importantissimo. Ai tempi del liceo è il batterista di un trio che si fa chiamare The Raven. Il blues e il soul sono una folgorazione che riceve quando già è un divo della tv. L’amico e collega Dan Aykroyd, un discreto suonatore di armonica a bocca che aveva in passato anche fatto una jam con Muddy Waters, inizia a raffinare i suoi gusti. John però riceve l’illuminazione finale a Eugene in Oregon durante le riprese del film che gli aprirà il mondo di Hollywood, Animal House. Ai tempi infatti frequenta un hotel che presenta spesso un cartellone blues con nomi come Curtis Salgado e Robert Cray. Sale sul palco, si cimenta in qualche standard. Come tutto nella sua vita, anche questa passione rasenta l’eccesso. Artisti come Ray Charles, B.B. King, James Brown diventano una colonna sonora costante. «John li ascoltava tutte le sere a un volume così alto da far tremare l’aria» scriverà Bob Woodward nella sua controversa biografia del 1984 intitolata Wired (in Italia uscita come Chi tocca muore). Il 22 aprile 1978 John e Dan Aykroyd presentano al mondo, in diretta da New York nel corso del Saturday Night Live, i Blues Brothers. Belushi non è un grande cantante, ma ha una presenza scenica formidabile, Aykroyd è la spalla ideale, silenzioso, ma capace di sorprendere con i suoi assoli di armonica. Sono vestiti con completi nero pece, cappelli scuri, camicie bianche inamidate. Al polso un orologio Timex, completa la divisa un paio di occhiali da sole Ray-Ban. Iniziano a suonare Hey Bartender un classico del 1955 di Floyd Dixon. «Al pubblico – riferirà Woodward – piacque moltissimo l’esibizione, ma era perplesso. Per tradizione Saturday Night Live ospitava i più grandi nomi del mondo musicale, Billy Joel, The Band, Bonnie Raitt, George Harrison. E questi erano due membri del cast regolare. Era uno scherzo? Non era possibile che facessero sul serio. Invece John non scherzava affatto».

IL SUCCESSO
La Atlantic Records, fiutato l’affare, mette i Blues Brothers sotto contratto per 125mila dollari. John e Dan reclutano musicisti di primissimo ordine tra cui Steve Cropper e Donald «Duck» Dunn già membri dei Booker T & the M.G.’s, poi i musicisti della resident band del Saturday Night Live. Nel settembre del 1978 riempiono lo Universal Amphitheatre di Los Angeles. Il pubblico li adora. Da quell’esibizione nasce il disco Briefcase Full of Blues. Arriva al primo posto delle classifiche e venderà quasi tre milioni di copie. John è contemporaneamente una star del cinema, della televisione e della musica. È la definitiva consacrazione, ma anche un’ulteriore scarica di energia a un ego smisurato e indifeso. La moglie Judy, sposata due anni prima, ma compagna dai tempi del liceo, capisce che l’uomo della sua vita sta imboccando una strada senza ritorno. Dan e John vivono da rockstar, aprono a New York un club, il Blues Bar. Passano lì tutte le notti, suonano, ospitano musicisti rock. La cocaina non manca mai. John diventa amico dei Rolling Stones e riesce persino a scandalizzare Keith Richards. «Belushi era un uomo sopra le righe. Ripetetelo pure – scriverà il chitarrista degli Stones nella sua autobiografia -. Una volta dissi a John che, come diceva mio padre, c’è una bella differenza fra grattarti il culo e fartelo a pezzi. John era esilarante, e frequentarlo era roba da matti. Ma Belushi era un’esperienza estrema perfino per i miei canoni».
John spende mille dollari a settimana in coca. Dopo una notte passata con l’altro chitarrista dei Rolling Stone, Ron Wood, si presenta sul set del Saturday Night Live in una condizione così precaria che il medico teme che muoia in diretta. Il produttore della trasmissione Lorne Michaels, stufo degli eccessi della sua star, risponde: «È una cosa che posso accettare» e lo costringe ad andare in onda. Sarà la fine della sua carriera televisiva. Ma all’orizzonte c’è il suo successo più clamoroso: il film The Blues Brothers, sceneggiato da Aykroyd e diretto da John Landis. Quello che per il pubblico americano sarà la celebrazione di una cultura musicale, diventa un modo con cui una più vasta platea internazionale scopre un intero universo.

IL DECLINO
Per la prima volta la cultura soul e rhythm and blues diventa, globalmente, pop, rilanciando star già affermate come Ray Charles, Aretha Franklyn e James Brown, personaggi di culto come Cab Colloway e John Lee Hooker e una serie di classici come Sweet Home Chicago, She Caught the Katy e Everybody Needs Somebody to Love che oggi è impossibile non associare ai due finti fratelli in abito scuro. Il tour con i Blues Brothers nell’estate del 1980 è l’ultimo acuto della carriera di Jake/John. Belushi riesce a lavorare a stento a un film sfortunato, I vicini di casa. È l’inizio della fine. Ma prima ha un’altra rivelazione musicale, un giorno regala a un amico l’intera sua collezione di musica blues. «Non ascolto più questa roba» gli dice. Ha scoperto il punk. È diventato un fan dei Dead Boys (con cui in un’occasione suona la batteria), dei Fear, dei Dead Kennedys: l’ennesima mutazione di uno spirito inquieto.
John ricontatta i suoi vecchi compagni di liceo e propone loro di rifondare i Raven. Il trio si esibisce ad alcune feste di Hollywood. Nel marzo del 1982 Belushi è a Los Angeles per trattare un suo ritorno sul grande schermo. Gli offrono un copione ignobile che lui vorrebbe rifiutare: sente la sua carriera andare in pezzi. La moglie è rimasta a New York, così il suo amico Dan. John è con Cathy Smith, una groupie e spacciatrice che frequentava il giro dei musicisti rock. È lei a iniettargli un cocktail letale di cocaina ed eroina. Quando riceve la notizia della morte del «fratello» Jake, Aykroyd sta scrivendo una parte pensata per lui per un nuovo film, Ghostbusters.