Haitham Ghanem è un brillante ingegnere, impegnato a promuovere l’utilizzo delle energie rinnovabili nella Striscia di Gaza. Lo conoscono bene i suoi colleghi della ong Sunshine4Palestine e lo hanno potuto apprezzare anche le Nazioni Unite che lo avevano invitato ai primi di aprile a una importante conferenza a Vienna. L’Austria non aveva avuto problemi a rilasciargli il visto Schengen per entrare in Europa (con validità dal 29 marzo all’11aprile). Ghanem aveva anche ricevuto assistenza dal Consolato generale l’Italia a Gerusalemme. Tutto era pronto per la sua partenza e quando ci siamo incontrati, il 29 marzo a Gaza, l’ingegnere ambientalista era felice. «Dopo la conferenza a Vienna farò una breve vacanza in Italia, non mi sembra vero. Il vostro Paese è bellissimo e desidero visitare i vostri musei, i vostri monumenti, le vostre città…», sognava Ghanem colmo di speranza e di voglia di viaggiare. Credeva di essere stato adeguatamente “autorizzato” e riconosciuto. Le Nazioni Unite e l’Europa lo attendevano a braccia aperte e, pensava, tutto sarebbe andato per il meglio. I suoi sogni sono andati in frantumi in un solo colpo la mattina del 30 marzo, di fronte al muro eretto da Israele.

L’ingegnere che ha assemblato un impianto fotovoltaico rendendo autosufficiente un intero ospedale a Shujayea, per Israele era e resta un fantasma come altre migliaia e migliaia di palestinesi, uomini, donne e bambini, in Cisgiordania come a Gaza e anche a Gerusalemme Est. Ghanem infatti non figura nel registro della popolazione palestinese in possesso di Israele e, di conseguenza, non possiede un documento di riconoscimento “valido” per transitare per il valico di Erez. Esiste per la sua famiglia, per i suoi amici, per le autorità palestinesi Gaza e per quelle di Ramallah, che gli hanno anche consegnato un passaporto riconosciuto in quasi tutto il mondo, ma non in Israele. Così l’impegno di consolati, uffici delle Nazioni Unite, colleghi e amici sparsi tra l’Austria e l’Italia, che per giorni hanno chiamato tutti i numeri del valico di Erez, per risolvere il suo “caso”, è risultato nullo. Ghanem non ha ottenuto il permesso necessario per spostarsi, un paio d’ore di viaggio in tutto, da Gaza fino al valico di Allenby con la Giordania, in modo da andare ad Amman da dove sarebbe dovuto partire in aereo per Vienna. Ghanem non ha la carta di identità “giusta”, quella rilasciata con l’autorizzazione e il consenso delle autorità di occupazione. «Sono di Gaza ma ho vissuto gli anni della giovinezza in Kuwait – racconta -, sono rientrato (nella Striscia) dopo gli Accordi di Oslo (1993), passando per il valico di Rafah (con l’Egitto). A quel tempo tutto sembrava possibile e invece è stata soltanto una grande illusione. Non avrei mai immaginato che, dopo oltre venti anni a Gaza, di rimanere un fantasma senza documenti».

Israele continua a controllare il registro della popolazione palestinese, nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Qualsiasi modifica ai documenti d’identità richiede l’approvazione di Tel Aviv: nascite, matrimoni, divorzi, morti o cambiamenti di indirizzo. «L’Autorità nazionale palestinese (nata dopo gli Accordi di Oslo, ndr) può modificare o rilasciare una carta d’identità solo dopo l’approvazione di Israele – spiegano i responsabili dell’associazione Gisha, impegnata a garantire i diritti dei palestinesi ai valichi – sono le autorità israeliane che determinano lo status di residente di un palestinese che, pertanto, può viaggiare solo se in possesso del permesso israeliano». Attraverso il controllo del registro della popolazione, Israele di fatto decide se un palestinese può andare in un altro paese. Giordania ed Egitto si adeguano alle regole stabilite dagli israeliani. Se un palestinese non ha il passaporto riconosciuto da Israele non può lasciare la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Il Cairo ha fatto non poche eccezioni durante l’anno di presidenza dell’islamista Mohammed Morsi, rovesciato dal golpe militare del 2013 ma ora è tornato ad applicare, persino in maniera più ferrea che in passato, criteri e procedure fissati dall’occupante dei territori palestinesi.   Israele decide anche il luogo dove i residenti palestinesi sono autorizzati a vivere. Un abitante della Cisgiordania può essere arrestato e portato con la forza a Gaza se l’indirizzo indicato nella sua carta d’identità è a Gaza. Dal 2000 Tel Aviv rifiuta di riconoscere la residenza in Cisgiordania a palestinesi di Gaza che in molti casi vivono e lavorano in quel territorio da 15 o 20 anni.

Nel 2005, dopo intensi negoziati, Israele accettò di aggiungere al registro della popolazione palestinese circa 50.000 adulti che vivevano “illegamente” nei Territori occupati. Erano in prevalenza i coniugi di residenti, entrati nella loro terra con un “visto turistico” per ricongiungersi alle famiglie o dopo il matrimonio. Fino al 2008 Israele aveva approvato residenza a 12.308 di queste persone presenti a Gaza. Poi si è fermato tutto e secondo il ministero dell’interno palestinese a Gaza ci sarebbero almeno altre 10.600 le persone che vivono senza la carta d’identità riconosciuta, pur vivendo da anni nella loro terra. Questi individui non possono viaggiare e restano “intrappolati” nella Striscia di Gaza senza via d’uscita. Non si conosce il numero delle persone che si trovano nella stessa condizione in Cisgiordania. Secondo fonti ufficiose sarebbero almeno 20 mila.

Una violazione di diritti che non esclude i più piccoli, anche a Gerusalemme. Molti bambini palestinesi che vivono nel settore arabo della città occupato da Israele nel 1967 continuano a non veder riconosciuto il diritto di ottenere un documento di identità o l’attestazione di una residenza permanente. I più penalizzati sono quelli che appartengono a nuclei familiari separati, ossia che hanno un genitore residente ufficialmente in Cisgiordania e l’altro a Gerusalemme. Questi bambini non possono frequentare la scuola né godere dei servizi sociali e sanitari, in quanto privi di carta di identità. Anche loro sono fantasmi, come Haitham Ghanem.