Recitava la locandina di Zombi (1978), il film di George A. Romero: «…quando non ci sarà più posto all’inferno i morti cammineranno sulla terra…».
Frase profetica anche perché, non certo per merito di dio ma dell’ingegno umano e della tecnologia, i defunti, anche solo in versione non tangibile e virtuale, sono potuti tornare in vita una seconda volta. Non solo i cantanti, gli attori o gli artisti che abbiamo amato e che vorremmo fossero eterni, ma anche la gente comune come ci mostra lo straziante documentario I Met You (Ti ho incontrato), in cui Jang, una mamma sudcoreana, interagisce nella realtà virtuale con Nayeon, la figlia morta prematuramente nel 2016 all’età di sette anni a causa di un male incurabile.
IL RIMPIANTO
Commovente ma anche forse eticamente discutibile soprattutto quando non è la vita umana ad essere replicata ma la sua idea, con i movimenti clonati del caro defunto, la voce campionata, persino i tic, ma senza ovviamente l’anima che è quella che ci ha fatto amare e rimpiangere sulla Terra. Ci viene in mente l’inquietante Ex machina (2015) di Alex Garland, nel quale un uomo si innamora di un androide scambiando, fatalmente, i suoi programmi per sentimenti. Il mondo dello spettacolo, come ci insegnano i Queen, non si deve mai fermare, show must go on e perciò Hollywood, le case discografiche, lo stesso pubblico di fan hanno chiesto l’impossibile, la vita oltre la morte, e, quando si parla di soldi e sentimenti, tutto può succedere. In principio c’era Brandon Lee, il figlio del campione di arti marziali Bruce Lee: la sua giovane e promettente carriera fu tragicamente interrotta nel sangue da una pistola difettosa. Il film scenario dell’evento era Il corvo (1994) di Alex Proyas, e molte scene con l’attore erano ancora da girare: ci pensò la rozza computer grafica dell’epoca a riportarlo dal mondo dei morti per finire la pellicola.
Quello fu forse il primo e più eclatante incontro tra il grande pubblico e una tecnologia che non aveva paura a sfidare Ade e tutti gli inferi. Nello stesso anno, d’altronde, Forrest Gump, interpretato magistralmente da Tom Hanks, poteva parlare e conversare con Elvis Presley, John F. Kennedy, Lyndon B. Johnson, John Lennon, George Wallace e Richard Nixon, senza che nessuno percepisse l’artifizio. Da lì il passo era breve per usare la stessa tecnologia, usata al cinema, anche nei videoclip e nei concerti.
Nel 2012 il pubblico del Coachella rimase a bocca aperta nel vedere Tupac Shakur, ucciso in una sparatoria 16 anni prima, esibirsi con Dr. Dre e Snoop Dogg. Da quel momento è iniziato il business degli ologrammi: è così che Michael Jackson ha cantato ai Billboard Awards 2014 e Ronnie James Dio è partito a fine 2017 per un tour chiamato, in assoluta sobrietà, «Dio Returns».
I giapponesi lo sanno bene perché, tra le cantanti più di grido della loro scena musicale, esistono le virtual idol, capitanate dall’affascinante Hatsune Miku, capelli verdi, corpo da favola, voce fantastica e assoluto ologramma. I nipponici impazziscono per queste non donne, se ne innamorano, scrivono loro lettere, comprano ogni genere di merchandising come fossero regali per fidanzate e affollano i loro concerti, ogni anno con la definizione visiva sempre più nitida. È un fenomeno d’altronde non solo orientale a giudicare dal sold out di Hatsune, e amichette di pixel, nei tour mondiali, Italia compresa.
LASTRE DI VETRO
Tutto però ha origine da un vecchio trucco molto noto in Gran Bretagna durante l’epoca vittoriana,chiamato Il Fantasma di Pepper (Pepper’s Ghost), una tecnica illusoria usata in teatro, nelle case degli orrori e in vari trucchi magici. Si utilizzava una lastra di vetro, poi evolutasi in plexiglas o altre pellicole di plastica che, abbinata a particolari tecniche di illuminazione, dava l’illusione dell’apparizione o della scomparsa di alcuni oggetti, li rendeva trasparenti o li inseriva all’interno di altri (il cosiddetto morphing). Era già stato tutto sperimentato comunque nel ’500 dallo scienziato napoletano Giovanni Battista Della Porta, creatore di invenzioni come la camera oscura, anche detta camera ottica o fotocamera stenopeica, alla base della fotografia. Nella sua pubblicazione del 1584, Magia Naturalis, include la descrizione di un’illusione così definita: «Come possiamo vedere in una camera cose che non ci sono». Questa è la prima descrizione conosciuta dell’«effetto Fantasma di Pepper» che prese il nome appunto da John Pepper colui che non la inventò ma la portò nei teatri con grandissima fama.
La prima volta che un ologramma venne usato durante un concerto è a fine anni ’90: un’immagine video di scena di Elvis Presley, nel 1997, accompagnò dal vivo l’esibizione della sua storica band, la TCB, Taking Care of Business. Questo tour divenne un presagio di avvenimenti musicali olografici: il clamore generato sul web per la storica esibizione di Tupac davanti a milioni di persone, come se la morte non l’avesse mai colpito, convinse Jeff Pezzutti, direttore finanziario nato nel New Jersey, a impiegare soldi e impegno in un mercato ancora inesplorato, quello della musica pseudo-live, fondando la compagnia Eyellusion, esperta in ologrammi. Fu così che Ronnie James Dio, morto nel 2010 di cancro allo stomaco, risorse per nuovi concerti, la prima volta, nel 2016, durante lo show dei Dio Disciples al Wacken Open Air, un noto festival metal tedesco, attirando oltre 75mila fan in visibilio.
Un tour di successi, e naturalmente critiche verso la natura sciacallesca dell’operazione, che in questi anni non si è fermato: l’ultimo è del 2019 con un ologramma ancora più accurato e somigliante al defunto.
Se sul web si possono leggere parole di fan atterriti come «è da vomitare l’idea proprio in sé, di uno squallore agghiacciante, ma come fa la gente a vedere questo schifo» o «è stato il mio cantante preferito e resterà tale, ma a me questa cosa mette solo una gran tristezza», di contro la moglie del cantante, Wendy, non sembra dello stesso parere. «Questa tecnologia ha fatto passi avanti da quando è stato creato il primo ologramma. Il nuovo mi rende ancora più felice, è un milione di volte meglio. Alla fine del tour precedente non ero del tutto soddisfatta, avrei voluto che l’ologramma assomigliasse di più a Ronnie. Questione di dettagli, come le sopracciglia ad esempio. Magari nessuno ha notato queste piccolezze, ma io sì. Non si avranno altri Led Zeppelin, altri Beatles, non succederà, ma grazie agli ologrammi potrebbe accadere, come è successo per Ronnie».
LE IDEE DI AHMET
Anche un’altra star della musica, Frank Zappa, ha avuto la stessa possibilità di una nuova vita virtuale. Il figlio Ahmet, vicepresidente del settore sviluppo aziendale di Eyellusion, ha difeso questa scelta, per alcuni discutibile. «Mio padre voleva avere un suo ologramma per mandarlo in tour e lui rimanere a casa e lavorare su più musica. Voleva creare la sua compagnia di ologrammi. Ecco perché mi sento come se stessi finendo qualcosa che ha iniziato. Altri artisti moriranno e, se vogliamo continuare a vivere queste esperienze magiche, la tecnologia sarà il solo modo per permettere alle persone di ascoltare la loro musica dal vivo, accanto a loro».
Oltre alla Eyellusion, una delle più famose compagnie di concerti musicali con ologrammi è la Base Hologram: grazie a loro, i fan hanno potuto assistere al ritorno sulle scene delle leggende rock, Roy Orbison e Buddy Holly, della compianta Whitney Houston e persino della Divina Maria Callas. Il tour di Houston, «An Evening With Whitney: The Whitney Houston Hologram», è partito tra l’altro proprio quest’anno, un ambizioso progetto, forse il più titanico, che «porterà» – covid-19 permettendo – l’artista in giro per il mondo, ovviamente in versione ologramma. Il 23 marzo al Teatro degli Arcimboldi di Milano era prevista la sua unica tappa italiana, in uno show, che, unendo musica e tecnologia, prometteva di emozionare il pubblico presente. La produzione è di Fatima Robinson, che con una band al completo, e con l’aggiunta di coriste e ballerine che eseguiranno coreografie originali, ha allestito uno spettacolo per celebrare l’artista: uno show che si preannuncia memorabile.
IN ATTESA 
È anche l’unico tour su Whitney Houston autorizzato e in partnership con la fondazione ufficiale che ne cura la memoria. La cugina della cantante, Dionne Warwick, nelle varie interviste, non si trova d’accordo col progetto: «Penso che sia stupido, ma ormai lo stanno facendo».
L’ex marito di Amy Winehouse, Blake Fielder-Civil, ha fatto eco ai sentimenti della signora Warwick, definendo l’ologramma della sua defunta moglie un «espediente per fare soldi». In questo caso però l’idea di fare rivivere la cantante sotto ologramma si è fermato. L’azienda incaricata, sempre la Base Hologram, ha messo in pausa il progetto per motivi non meglio precisati. Si parla in modo generico di «sfide» alle quali far fronte, con tutta probabilità di natura tecnica. Potrebbe aver pesato sulla decisione di sospendere il progetto la reazione negativa dei fan alla notizia che l’ologramma non sarebbe stato ricreato da materiale video d’archivio, ma ottenuto con l’impiego di una controfigura alla quale applicare una maschera 3D in fase di post-produzione e la conseguente indignazione degli appassionati.
Già nel 2016 era saltato un duetto pubblicizzato, quello tra la cantante Christina Aguilera e Whitney Houston, colpa, anche in questo caso, di una tecnologia all’epoca non perfetta. La morte è diventato un affare in crescita, un universo utopico, alla William Gibson, nel quale potremmo essere tutti clonati per ripetere all’infinito, a favore dei nostri cari, una vita illusoria. D’altronde un tempo i computer più potenti occupavano intere stanze di edifici, ora ognuno di noi può avere programmi avanzatissimi in una tasca, attivabili con un solo movimento della mano. Tutto si evolve, anche il concetto di etica della morte. Una cosa affrontata, fin dal 400 AC, con l’Antigone di Sofocle, un dramma attualissimo a carattere familiare e politico. Il drammaturgo, in un particolare stasimo, esalta la civiltà umana, il progresso scientifico e le potenzialità che l’uomo ha di potere raggiungere «il divino». Ma se nessun obiettivo sembra irraggiungibile, l’individuo scopre la sua fallacia, il suo limite, nella morte, a cui egli non ha ancora trovato rimedio. Almeno fino agli ologrammi.
CONFUSIONE INIZIALE 
Quali sono state però le performance, anzi le non performance, che hanno reso grandi e affollati questi spettacoli della resurrezione canora?
Nel 2006, durante la 48esima edizione dei Grammy Awards, la band animata dei Gorillaz confonde la folla con un’esibizione «live» in duetto con Madonna. La performance lascia stupiti anche perché mostra all’inizio la cantante in versione ologramma, capace di passeggiare dietro il gruppo virtuale, regalando alla piatta tecnologia dell’epoca una visibile tridimensionalità. La spettacolarità del tutto è data dalla confusione iniziale che Madonna stia realmente interagendo con i Gorillaz, per poi apparire in carne e ossa solo in un secondo momento.
Nel 2007 Celine Dion canta negli studi di American Idol a Los Angeles con Elvis Presley grazie all’uso della tecnologia. I due eseguono il pezzo di Elvis If I Can Dream in un duetto d’incredibile precisione. La canzone era stata incisa da Elvis nel giugno 1968, due mesi dopo l’uccisione di Martin Luther King. Il duetto sembra sia costato quasi 100mila dollari, un lavoro durato mesi e mesi, tutto per una performance altamente toccante, inaspettata, che all’epoca sconvolse e commosse il mondo. Il 29 novembre 2011 questa tecnologia arriva anche in Italia quando Franco Battiato riporta in musica il filosofo Bernardino Telesio, in versione virtuale, al Teatro Rendano di Cosenza, in occasione dei 500 anni dalla nascita. Così l’artista raccontò l’esperienza: «Non avevo voglia di perdere tempo con i costumi e le solite scenografie tradizionali. E ho trovato affascinante l’ idea di ricreare l’ ambiente di Telesio dando l’ impressione della persona vera in modo virtuale. Meglio l’ ambiguità dell’illusione che una realtà finta e posticcia. Scoprire che quell’essere che si muove sul palcoscenico, parla, canta o danza è un ologramma, mi sembra ancora di più sorprendente. In fondo il mondo è tutto un ologramma, come diceva il fisico quantistico David Bohm, e prima di lui i mistici». Nel 2012 con grande sorpresa e stupore dei fan di Coachella, Tupac viene resuscitato a grandezza naturale e torna sul palco quasi 17 anni dopo la sua morte per rappare con Snoop Dogg e Dr. Dre in una performance che ha effettivamente scatenato la moderna corsa all’oro olografica.
L’ologramma è stato creato in 4 mesi di lavoro e per 4 minuti di performance è stato pagato ben 100mila dollari. Prima di concretizzare il tutto è stata ricevuta l’approvazione di Afeni Shakur, madre del rapper, che ha assistito alla performance in streaming su YouTube. L’ologramma di Tupac ha riscosso un successo tale, da essere stato premiato a Cannes con il Titanium Award; ha inoltre incrementato le vendite del rapper del 500%.
Nel 2013 durante il decimo anniversario del Rock the Bells Festival, sono tornate a cantare due leggende dell’hip hop: Eazy-E e Ol’ Dirty Bastard. Eazy-E, ucciso nel 1995 dall’Aids, ha rappato insieme ai Bone Thugs-N-Harmony le seguenti canzoni Straight Outta Compton, Boyz in da Hood e Foe tha Love of $. ODB invece si è esibito con il Wu-Tang Clan e con suo figlio Young Dirty Bastard, per celebrare il 20esimo anniversario di Enter The Wu-Tang (36 Chambers), primo album del collettivo di NYC. Il rapper scomparso nel 2004 per overdose di cocaina, ha rappato Shame on a Nigga e Shimmy Shimmy Ya. Si vociferava anche l’idea dell’ologramma di Nate Dogg, stroncato da un ictus nel 2011, ma per mancanza di fondi da parte della sua famiglia, la proposta non si è stata mai concretizzata.
Nel 2014 all’MGM Arena di Las Vegas è avvenuta la resurrezione digitale di Michael Jackson, davanti ad una platea in estasi. Vestito con una giacca dorata e pantaloni rossi, l’artista ha accennato il moonwalk cantando Slave to the Rythm, uno degli otto brani di Xscape, il suo disco postumo. È probabilmente la performance più famosa e apprezzata dopo quella di Tupac.
Nel 2016, Jenni Rivera (43), morta il 9 dicembre 2012 in seguito allo schianto del suo aereo in Messico, è diventata la prima cantante latina con un suo ologramma; è successo il giorno dei defunti all’Hollywood Forever Cemetery. Ad alcuni cantanti, vivi tra l’altro, come il rapper Chief Keef, è balzata l’idea di tenere alcuni concerti senza essere presenti. Nel caso di quest’ultimo la cosa è stata interrotta dalla polizia dopo che il sindaco di Chicago aveva già vietato un concerto dell’artista in carne e ossa, indicato come «modello inaccettabile» e «promotore di violenza». Su una cosa si è certi: nulla batte la scarica di adrenalina nel vedere un artista in concerto. Tra luci, suoni, pubblico. Se però vai a sottrarre l’unico elemento davvero importante, il cantante, sostituendolo con un ottimo cd al quale dai le fattezze del suo interprete, l’esperienza si trasforma solo in una grande illusione che di reale ha ben poco. A ciascuno la sua sua valutazione.