Sul lungomare e tra le stradine strette del vecchio centro si inseguono i manifesti sul centenario della Prima guerra mondiale, convegni, giornate di studio, pubblicazioni, iniziative, qui più che altrove questa memoria è forte e ha lasciato segni. La Slovenia è a un passo come dicono le indicazioni bilingue di una città ancora segreta nonostante il turismo e il restyling che ha trasformato gli antichi caffè mischiando acciaio e vetri alle cornici dorate, la moltiplicazione nelle osterie del porto di slot machine e le serie tv di successo che hanno svelato la magnifica Piazza dell’Unità all’audience di prima serata.

Che il Festival di Trieste (16-22 gennaio) punti alla produzione cinematografica dell’est è quasi inevitabile, pure se la rassegna diretta da Anna Maria Percavassi e Fabrizio Grosoli ha nel tempo mutato il proprio assetto affiancando alla programmazione festivaliera – concorso lunghi e cortometraggi, concorso doc e sorprese di genere – workshop come When East Meets West, dove a registi e produttori dei progetti selezionati si offre la possibilità di esporre il lavoro e di incontrare partner produttivi internazionali. A questo si aggiunge il laboratorio «Rough cut» (quest’anno con tre film in corso di lavorazione) nel quale un gruppo di esperti, produttori o programmer di grossi festival (dalla Semaine de la Critique di Cannes al Festival di Locarno) discutono coi registi donando pareri e suggerimenti sulla finalizzazione del lavoro. Il che permette ovviamente ai selezionatori di farsi un’idea di potenziali film da invitare, e ai produttori di valutare un eventuale ingresso, tutti elementi in termini di ritorno per il Festival molto efficaci nel proporlo come un interlocutore sul mercato del cinema indipendente mondiale.

In questo rientra un po’anche la sezione degli Italian Screenings a cui si lega il premio Corso Salani, in ricordo del magnifico cineasta che in sintonia col suo fare cinema fuori da istituzioni e compromessi guarda appunto agli indipendenti italiani – da questa edizione il premio, nato come supporto alla produzione, è diventato un incentivo alla distribuzione. Indipendente però non è solo una questione di budget ma di testa e di cuore, di sensibilità nell’accordare ritmi e sospensioni e passioni dell’immaginario. È indipendente Seconda primavera, nuovo film di Francesco Calogero, qui in anteprima, il regista siciliano scoperto nelle nuove onde degli anni Novanta con La gentilezza del tocco (1987), che da quel suo primo film ha rivelato uno sguardo ’strabico’ rispetto al nostro cinema, anche quello più giovane, prediligendo alla tradizione nazionale (commedia) riferimenti classici hollywoodiani e non solo per cercarne le corrispondenze nel paesaggio italiano

Da allora è passato molto tempo, e anche diversi film, ma Francesco Calogero quell’indipendenza l’ha mantenuta nonostante gli sforzi che costa specie da noi: produttivi – Seconda primavera lo hanno realizzato con la loro società il regista e sua moglie, Mina – e soprattutto la scelta di guardare altrove, che significa mettersi in discussione anche al rischio di «inciampi» rispetto alle ambizioni dichiarate.

Seconda primavera è una storia d’amore: una donna e un uomo declinati nelle loro possibili variazioni narrative e di vita, che da questo semplice binomio di partenza si spalancano rifrangendosi sull’immaginario. Siamo nella fantasmagoria di Vertigo – La donna che visse due volte (qui bruna però) ed è solo il rimando più evidente nella trama di citazioni che un cinefilo raffinato quale è Calogero sa tessere senza eccessi né esibizioni di stile.
Protagonista è Andrea (Claudio Botosso) architetto cinquantenne che il dolore – e i sensi di colpa – per la perdita della moglie, e della loro bimba che aspettava hanno reso chiuso, assente, senza interesse verso il mondo, il lavoro o le persone. Finché nella sua vita entra Hikma (Desiree Noferini) ventenne bellissima che gli ricorda la moglie scomparsa. E quando Hikma rimane incinta una notte di Capodanno di reciproche vendette, se ne prende cura e torna con lei e il suo compagno, ex marito parecchio indolente di una sua amica, nella villa che aveva diviso con Sofia, la moglie, e di cui voleva disfarsi dopo la sua morte.

È evidente che tutto si complica, e le storie dei personaggi intorno all’uomo sfuggono alle sue proiezioni di controllo, quel desiderio seppure morbido, non invasivo, di «organizzarne» le vite un po come i plastici dei suoi progetti. I sentimenti però si muovono più scomposti delle linee, i suoi per primi sembrano essere inafferrabili, e i desideri «reali» stridere con i fantasmi che abitano il meraviglioso giardino della villa.

Tradimenti, insofferenza, malumori, paure, momenti di profonda felicità: chi è Hikma che per l’architetto si sovrimpressiona sempre di più all’immagine della moglie? E chi sono tutti gli altri, Rossana, Anita Kavros, quarantenne fragile che non sopporta di essere stata lasciata dal marito per Hikma, e l’ingegnere amico di Andrea, un saggio Nino Frassica, che le cose le ha fatte prima dei cinquant’anni e ora non sogna avventure o ragazze più giovani quasi come un riscatto di anni perduti …

È dunque film sull’amore, e sul suo mistero, sulle esistenze umane e il loro tempo che è come quello delle stagioni estate, autunno, inverno, primavera che scandiscono il film, fino alla seconda primavera, ritorno della stagione e metafora di una rinascita del protagonista, seppure frustrata nella sua sostanza amorosa. Nel movimento dei loro sentimento quegli uomini e donne sembrano infine diventare una sola coppia, o meglio esprimere l’essenza della relazione amorosa nei diversi passaggi, tenerezza e disillusione rabbiosa, obiettivi non condivisi e rimpianti ricomposti, senza svelarne l’imprevedibilità davanti a una Casta diva. E cosa è più difficile che confrontarsi con qualcosa di eterno,punto di partenza di ogni storia, come la relazione amorosa che Calogero, sospende sul vuoto hitchcockiano per provare a filmarne l’essenza, e i complicati equilibri, attraverso il cinema. Una sfida certamente, che forse non sempre trova la sua misura, e però che in questa suo gesto di scompiglio porta con sè la bellezza di un mistero. Il cinema?